Erdogan si riprende piazza Taksim bavaglio e multa alle televisioni che mandano in onda la protesta

Dalla Rassegna stampa

ISTANBUL - Una calma irreale, tesa e falsa perché gravida di nuovi attacchi su Gezi Park, si è impadronita ieri di Istanbul. Dopo 20 ore di battaglia, Piazza Taksim, situata proprio sotto i 600 alberi dell’area verde difesa dai dimostranti perché non diventi un centro commerciale, appare sfinita. Non c’è più un briciolo di energia rimasto in chi ha ingaggiato con la polizia un braccio di ferro durato un giorno e una notte. All’alba le forze dell’ordine, armi in pugno, hanno spazzato via i manifestanti come fuscelli, e la piazza della rivolta turca è tornata a un apparente stato di normalità. Nell’aria ancora un forte odore di vernici, lanciate in aria così come i lacrimogeni urticanti, mentre il selciato è annerito dalle fiamme che hanno risparmiato il parco. Passa poca gente e sui lati del perimetro, all’ombra dei blindati, poliziotti piantati a gambe larghe osservano Taksim riconquistata. Solo trenta metri più in su, si apre il parco. C’è una breve scalinata da fare e si transita per un pertugio aperto fra le barricate. Blocchi di cemento, tavole di legno, auto rivoltate. Una difesa che è solo è un muro di latta, e un carro armato se la mangerebbe in un lampo.

Piazza Taksim è tornata tranquilla perché questo è il giorno della trattativa. Il premier Tayyip Erdogan, l’uomo accusato dai dimostranti di voler abbattere il parco, edificare Istanbul, assoggettare il Paese a dettami religiosi che diventino leggi dello Stato, ha incontrato ad Ankara una delegazione di 11 persone. Artisti, intellettuali, studenti. Però la piattaforma che riunisce i movimenti della protesta dice che i convocati non li rappresentano. «Noi siamo ancora qui- spiega Ongun Yucel, membro del gruppo Taksim Solidarity, composto da accademici e architetti che si oppongono al contestato piano di riammodernamento di Taksim - e le nostre richieste non sono cambiate. Le persone chiamate non hanno nulla a che fare con noi». E dunque, al di là del risultato della trattativa (proposto un referendum sull’assetto dell’area), il negoziato nasce male. Il gioco del leader però è chiaro: il giorno prima si dice disposto a incontrare quelli che ha definito come «çapulcu» (vandali), quello dopo si riappropria della piazza con la forza, e quello seguente mostra di voler trattare. Che cosa potrà accadere domani?

Al Gezi Park la domanda se la pongono tutti. Fra le tende e i tappeti stesi sull’erba per trascorrere la notte non ci sono solo ragazzi, ma adulti, e non pochi quelli coni capelli bianchi. La gente si è organizzata bene. Tra le piante di noce c’è una mensa per i pasti (e molta gente di Istanbul porta qui pasta, formaggio, frutta, dolci), un’infermeria, un giardino dove sono stati piantati nuovi alberi, persino un piccolo angolo di gioco per i più piccoli. C’è chi fa lezioni di matematica e chi fa musica. AlGezi Cafè si leggono i giornali e si fanno strategie. C’è pure una tv via web. L’hanno battezzata "Çapul Tv" (Tv Saccheggio), dalla definizione sarcastica di Erdogan nei confronti degli occupanti. E l’unica, assieme a Halk Tv (la Tv del Popolo) collegata al partito socialdemocratico, ad aver fatto un ampio e continuo lavoro di informazione sulla protesta in atto fin dai primi di giugno. Quando i grandi quotidiani turchi latitavano senza dare spazio a quel che accadeva nella piazza centrale di Istanbul, quando i più importanti canali locali trasmettevano documentari sui pinguini mentre Cnn e Bbc raccontavano gli scontri, erano invece i social network e le piccole tv a dare notizie in modo capillare. Con alcuni fra i più importanti editorialisti a spasso perché licenziati, con bravissimi inviati bloccati in redazione perché impediti di fare il proprio mestiere, con capi dei settori pronti a riferire in alto minacciando colleghi e fermando articoli, il giornalismo più affidabile è giunto da canali artigianali, via Twitter, o da cittadini con in mano uno smartphone. Non a caso, le stesse realtà bastonate a parole da Erdogan («quella cosa chiamata "social media" per me oggi è la più grande minaccia esistente per la società»).

Il silenzio della stampa tradizionale turca, arrivata colpevolmente in ritardo su eventi coperti dai media internazionali, è stato salvato dai piccoli canali web o da Twitter, rivelatosi lo strumento più immediato per scambiarsi notizie e fornirle poi all’esterno. Poi ieri, puntuale, la mannaia ha colpito. E quattro emittenti televisive sono state multate dal Consiglio superiore della Radio e Televisione (Rtuk) per aver trasmesso immagini delle proteste nel Gezi Park. Sono Halk Tv, Ulusal Tv, Cem Tv ed Em Tv. La motivazione? Scrive il sito online del quotidiano Hurriyet che le multe sono state imposte perché le emittenti «hanno minato lo sviluppo fisico, morale e mentale di bambini e giovani». Commenta su un banco del parco la giovane Zeynep: «Il regime sta riprendendo i media in mano. È il sistema- Erdogan, la democrazia alla Tayyip. Ma dov’è l’Europa, perché lascia fare?».

Halk Tv, emittente con solo una ventina di dipendenti, come T24, giornale online dove adesso collabora il noto editorialista Hasan Cemal licenziato da Milliyet, erano realtà assolutamente sconosciute. In pochi giorni, il passa parola tra i cittadini li ha fatti diventare due fra i media più seguiti nel Paese, superando come immagine e credibilità i normali organi di informazione. Al punto che un pinguino con la maschera sul becco è diventato uno dei simboli della rivolta. Come la nonna con la garza anti-lacrimogeno sul volto, mentre lanciala sua fionda contro i blindati. A Istanbul la situazione rimane incandescente, mentre dal mondo piovono le critiche. La Casa Bianca è preoccupata. Berlino turbata («cattivo segnale verso l’Europa»). Il Consiglio d’Europa condanna. Amnesty accusa. Al Gezi Park i ribelli assicurano di voler restare a proteggere l’area verde. Ma fino a quando?  

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