“Eravamo a un passo dal salvare Saddam, poi Bush rovinò tutto”

“Caino al cento per cento”. Così Marco Pannella definisce Tareq Aziz: e proprio come il primo assassino della storia (biblica) l’ex vice primo ministro iracheno ha il diritto di avere salva la vita. Dunque "nessuno tocchi Caino" (associazione contro la pena di morte affiliata al Partito radicale). Al terzo piano del palazzo di via di Torre Argentina, centro storico di Roma, con sopra e sotto i locali delle suore benedettine, il leader storico dei radicali racconta l’impegno preso per Aziz, sciopero della fame (dal 2 ottobre, per la situazione nelle carceri italiane) e della sete (deciso dopo l’annuncio della condanna a morte dell’ex ministro iracheno) e soprattutto ricorda come nell’inverno 2003 si fu a un passo dal salvare Saddam Hussein permettendogli l’esilio dall’Iraq.
"Come ha ricordato Furio Colombo (articolo su il Fatto di mercoledì, ndr) si era creata la straordinaria possibilità di risolvere altrimenti la situazione, non con le armi, ma attraverso l’esilio del dittatore: per noi era essenziale che Saddam se ne andasse per smettere la guerra civile contro il suo popolo. Non era un atteggiamento pacifista; sono sempre stato considerato un amerikano (sì, con il kappa), e mi sono sempre definito anche un uomo della Cia, in modo fosse chiaro che per noi il punto-chiave era la cacciata di Saddam. È successo tutto molto in fretta, parallelamente alla creazione del consenso bellico: il 10 dicembre Io, Emma e i nostri 7 parlamentari europei decidemmo di porre la questione dell’esilio; il 19 gennaio presentammo il progetto alla Camera dei deputati e solo un mese dopo, il 19 febbraio il Parlamento vota la proposta radicale (345 sì, 38 no, 52 astenuti), che impegna il governo Berlusconi a ‘sostenere presso tutti gli organismi internazionali, a iniziare dal Consiglio di sicurezza Onu l’ipotesi dell’esilio del dittatore iracheno. I nostri tempi erano perfetti: le manifestazioni pro-Saddam (e anti-americane) si moltiplicavano non solo nel mondo arabo ma anche nell’Occidente. Avevamo precedenti illustri, come Bokassa (ex dittatore del centrafrica rifugiato in Costa d’Avorio); avevamo preso contatti con chi si stava impegnando nelle mediazioni (il greco Papandreou era presidente di turno della Ue, molti paesi arabi stavano cercando di convincere il presidente iracheno e abbiamo avuto contatti anche con Blair, che era indeciso sul da farsi). Insomma per noi il momento e l’opinione pubblica erano propizi (il 19 marzo, solo dopo l’ultimatum di 48 ore di Bush a Saddam, fu reso pubblico un sondaggio del 25 gennaio in cui il 62% degli americani si diceva favorevole all’esilio): ma a questo punto tutto è stato fatto naufragare dal ‘vertice della fattoria’. Il 22 febbraio a Crawford (il ranch dei Bush in Texas), il presidente americano respinse e affossò i tentativi del premier spagnolo Aznar di spingere per l’esilio: ‘Potrebbe essere ucciso entro due mesi; è un ladro, terrorista, criminale di guerra, al cui confronto Milosevic sarebbe Madre Teresa’, risponde il capo delle truppe americane. Bush temeva che se fosse stato fatto fuori Saddam sarebbe caduto il motivo e la scusa per l’attacco. A precedente, ma ulteriore, conferma 1’8 febbraio Bush ‘incarica’ Gheddafi, attraverso la mediazione di Berlusconi, ad andare da Saddam per convincerlo all’esilio; è la posizione della Lega Araba; ma il 1 ° marzo alla riunione del Cairo (era presente Emma Bonino), il leader libico ruba la scena a tutti e di fatto blocca la discussione sul possibile esilio del dittatore che pure gli aveva dato la sua disponibilità: poco dopo la Libia verrà tolta dalla lista nera degli americani. Insomma, la possibilità di esilio di Saddam è stato fatto fallire e adesso ci ritroviamo con la condanna a morte del suo più vicino collaboratore (che tra il 13 e il 15 febbraio fu a Roma, incontrò il Papa, ma non fu forse ‘usato’ efficacemente per convincere Saddam) che sa tutto questo e potrebbe raccontare dell’"opzione impossibile" fatta saltare da chi non poteva fare a meno della guerra.
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