Elogio dell'artista dei giovani

Nessuna cosa sia dove la Parola manca»: Vàclav Havel amava citare l'ultimo verso della poesia "La Parola" di Stefan George per sottolineare l'impossibilità dell'intellettuale di sottrarsi al dovere di osservare, interpretare, se necessario smascherare e sbugiardare la realtà. Per quanto assurda possa apparire sotto la lente della ragione.
E la consapevolezza dell'assurdo ha segnato la sua vita e la sua produzione letteraria, legata con una consequenzialità naturale, quasi ovvia, all'impegno politico: «In Occidente gli scrittori sono spesso presenze decorative, artisti pretenziosi, celebrità. Da noi è diverso». Assurda gli appariva la condizione stessa del regime totalitario comunista, una stupidità connaturata all'essenza stessa del potere: «Poiché il regime è prigioniero delle proprie bugie, deve falsificare tutto. Falsifica il passato. Falsifica il presente e falsifica il futuro. Finge di non possedere un apparato di polizia onnipotente e senza scrupoli. Finge di rispettare i diritti umani. Finge di non perseguitare nessuno. Finge di non avere paura di niente. Finge di non fingere», annotava nel 1979.
Un'assurdità che solo la Parola e il senso del ridicolo possono sconfiggere. Per questo gli sembrò assolutamente normale, undici anni dopo, proporre a Frank Zappa, il più libertario ed anticonformista tra i musicisti americani, l'incarico di ministro della Cultura nella neonata Repubblica Ceca.
Assurda gli sembrava la condizione di «idiota specializzato», stigmatizzata in "Interrogatorio a distanza", ma anche quella complicata intersezione di circostanze che lo aveva portato a mettere il naso dappertutto «senza essere esperto di niente in particolare». Eppure seppe farsi portavoce di una voglia di cambiamento che lo inorgogliva, perché partiva dalle nuove generazioni.
Come scrisse nel quotidiano Lidové noviny: «La nostra rivoluzione anti totalitaria è stata almeno all'inizio - la rivoluzione dei ragazzi. Per le strade si sono riversati ragazzi delle scuole superiori e apprendisti, mentre i loro genitori avevano paura, per loro e per sé stessi. Li hanno chiusi in casa, li hanno condotti fuori città per il week-end. Poi hanno iniziato a scendere in strada con loro. Dapprima, di nuovo, perché avevano paura, poi perché hanno visto il loro entusiasmo.
Questi ragazzi hanno risvegliato nei genitori il loro io migliore. Hanno tolto la maschera alla menzogna e li hanno costretti a mettersi dalla parte della verità».
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