Elezioni regionali, i talk show rischiano lo stop

Un anno dopo, il blackout si ripete. Stop ai talk show più temuti dal centrodestra, in campagna elettorale. Nel 2010 l'occasione era data dalle regionali. Quest'anno, le amministrative del 15 maggio. Il pretesto è lo stesso: la par condicio. Ma con un vantaggio in più, stavolta, per l'inquilino di Palazzo Chigi. Perché i 300, più probabilmente, i 45 giorni di oscuramento coincideranno con l'esordio e le prime tappe scoppiettanti del processo Ruby (dal 6 aprile). Concomitanza casuale e ininfluente, tagliano corto Pdl, Lega e Responsabili.
Portano le firme dei componenti dei gruppi di maggioranza in commissione di Vigilanza Rai, infatti, i tre emendamenti depositati alla bozza di regolamento del presidente Zavoli per le trasmissioni radiotelevisive. Ripropongono con esattezza il principio che l'anno scorso era stato introdotto - tra mille polemiche - dal radicale Marco Beltrandi. E cioè l'equiparazione in Rai dei talk show alle tribune politiche. Allora, il vincolo aveva portato la direzione generale della Rai a disporre appunto lo stop dei programmi, per la supposta impossibilità di convocare tutti i partiti in corsa per il voto. L'approvazione della medesima norma in Vigilanza (il voto previsto in settimana) farebbe scattare la medesima tagliola. In allarme è l'intero palinsesto dei talk. Annozero di Santoro, Ballarò di Floris, Porta a Porta di Vespa, In Mezz'ora della Annunziata, forse anche Che tempo che fa di Fazio e Report della Gabanelli.
Gli emendamenti portano le firme di Lainati e Butti del Pdl, del leghista Caparini, del "responsabile" Sardelli, che minimizza: «Non mi pare si possa parlare di censura, si tratta solo di applicare la parcondicio. Qualcuno vuol sostenere che quei programmi siano sbilanciati in favore del centrodestra? Dovranno solo essere equilibrati, se ne saranno capaci». Stesso concetto ripetuto dal leghista Caparini: «Ci limitiamo ad applicare la legge sulla par condicio». Da oggi, a Palazzo San Macuto, le votazioni sugli emendamenti. Ma dentro e fuori il Parlamento la tensione è già alta. Michele Santoro si prepara a nuove mobilitazioni (il 25 marzo 2010 al palasport di Bologna "Raiperunanotte") e avverte: «A fronte di norme liberticide, reagiremo in tutti i modi e chi fa finta di non vedere va ritenuto complice». Anche Vespa si augura che non si arrivi allo stop dello scorso anno, convinto che «si possano trovare formule per obbligare tutti a dibattiti più equilibrati». Per Fnsi e Usigrai sarebbe «uno sfregio al pluralismo».
Tutta l'opposizione è in trincea. «Nemmeno in Bielorussia» tuona il segretario Pd Bersani, che propone intanto di dar vita a un fronte comune e ad un osservatorio per monitorare l'informazione dei tg «dominata da Berlusconi». Si dice favorevole già l'Udc con Roberto Rao: «Va impedito lo stop, questa a differenza dello scorso anno non è una campagna nazionale». Un pretesto, secondo Di Pietro: «Ennesima proposta da minculpop per evitare che i cittadini siano informati». Con un'aggravante, fa notare il pd Paolo Gentiloni: «Dopo la sentenza del Tar, che l'anno scorso ha stabilito che i programmi di informazione non possono essere equiparati alle tribune elettorali, la chiusura dei talk show, oltre che scorretta, sarebbe una grave violazione di legge». Il radicale Beltrandi (gruppo Pd), in compenso, fa sapere che questa volta voterà no.
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