Le elezioni e la carta a sorpresa del premier

Dalla Rassegna stampa

Se persino Gianni Letta arriva a dire che «non si può escludere nulla», allora davvero Berlusconi sta valutando tutte le opzioni, compresa quella del voto anticipato. Obiettivo già difficile da raggiungere e dall’esito tutt’altro che scontato. Ma c’è un motivo se il braccio destro del premier non se la sente di scartare alcuna ipotesi, perché è vero che in passato ha vissuto molti altri momenti drammatici al fianco del Cavaliere, «ma in tanti anni non l’ho mai visto così». L’accerchiamento ha portato Berlu­sconi a isolarsi, tuttavia non c’entra l’umor nero verso Fini, «che ormai si è fatto tutti i programmi televisivi di sini­stra ».

È piuttosto l’assenza di una strate­gia che lo porta a questa scelta mediati­ca, e che rimanda a un solo precedente: la vigilia del predellino. Allora come og­gi stava nell’angolo. Oggi come allora, se resta in silenzio è perché non ha an­cora preso una decisione. L’idea delle urne — suggeritagli da Cossiga e ipotiz­zata da due fedelissimi come Quaglia­riello e Valducci — è nel novero delle possibilità, per quanto remota. A parte l’altolà del presidente della Camera, che ha evocato la scissione del Pdl, sa­rebbe complicato arrivare al voto. Per riuscirci servirebbe una crisi par­lamentare, «un incidente», e non certo sulla Finanziaria ma sulla giustizia. Al momento il nodo che divide la maggio­ranza sul «processo breve» è il reato di immigrazione clandestina. L’intesa ap­pare nell’ordine delle cose. Se però Ber­lusconi decidesse di far precipitare tut­to, la forzatura — secondo i finiani — si verificherebbe con un emendamento su un tema ben più spinoso: la «prescri­zione breve», considerata dal presiden­te della Camera «inaccettabile» e che in­vece ieri Ferrara ha definito sul Foglio un «fondamento del diritto alla dife­sa ». D’altronde è noto che la legge sul «processo breve» lascerebbe ugualmen­te esposto il Cavaliere alle intemperie delle procure.

Il fatto poi che da Fini a Rutelli, passando per Casini, gli giunga l’esortazione ad andare «comunque avanti» anche «in caso di condanna», insospettisce il premier. Perché sareb­be difficile «andare avanti» se a genna­io fosse raggiunto da un avviso di ga­ranzia dalla procura di Palermo, come raccontano insistentemente voci di Pa­lazzo. E guarda caso il «timing» per an­dare alle Politiche il 28 marzo, insieme alle Regionali, scatterebbe proprio tra metà gennaio e gli inizi di febbraio. Il punto è che la decisione di scioglie­re le Camere è «prerogativa del capo dello Stato», co­me a più riprese ha ripetuto l’inqui­lino di Montecito­rio. Un modo per dire che — aperta la crisi di governo — Berlusconi do­vrebbe lasciare il pallino del gioco al Quirinale. Il Ca­valiere correrebbe il rischio? Ed è cer­to che gli alleati lo seguirebbero? La posizione contra­ria del presidente della Camera è no­ta, ma anche Bos­si — il giorno in cui la Consulta bocciò il «lodo Al­fano » — uscì da un colloquio con Fini e disse: «Niente elezioni. Avanti con le riforme». La Lega oggi sarebbe dispo­sta a cambiare posizione? Basterebbero Veneto e Piemonte a compensare la per­dita del federalismo fiscale? È una varia­bile di non poco conto. Allora, sarà pure un bluff quello di Casini, secondo cui «se cade il governo un’altra maggioranza in Parlamento si forma in un minuto». Ed è certo che la prospettiva elettorale atterrisce Pd e Udc, così com’è certo che Fini non si presterà a fare il Dini, perché la sua sto­ria sta dentro l’accusa lanciata contro «i puttani della politica», che consentiva­no al centrosinistra di formare governi diversi da quelli voluti dagli elettori.

Ma le forche caudine della Costituzione potrebbero trasformare l’eventuale pro­getto del premier in una disfatta. Anche ammesso che riuscisse nell’in­tento, è chiaro che al voto si arrivereb­be attraverso un passaggio traumatico, e che Berlusconi non potrebbe ripresen­tarsi agli elettori con la stessa squadra e lo stesso schema di alleanze. Oltre al fat­to che è impossibile valutare quale pe­so avrebbe nelle urne un’ipotetica sen­tenza di condanna per un Cavaliere sen­za «scudo giudiziario», nulla garanti­rebbe il successo al centrodestra. È ve­ro che per ora tutti gli analisti lo prono­sticano, ma ieri proprio la Ghisleri — sondaggista di fiducia di Berlusconi — ha detto che un tale scenario viene valu­tato «a bocce ferme», perché andrà pri­ma capito «cosa faranno Rutelli, l’Udc e la sinistra», ammettendo che «il qua­dro politico potrebbe presentare alcu­ne differenze rispetto al 2008». C’è una grande differenza tra l’imma­gine fissata in un fotogramma e un film di cui non si conosce il finale. Di certo nelle analisi di Euromedia research per il premier sarà stato evidenziato ciò che alcuni ministri sussurrano, e cioè che il centrodestra — con gli stessi voti del 2008 — perderebbe il Senato qualo­ra l’Udc si alleasse al Pd. Come non ba­stasse, lo scontro nella maggioranza sulla giustizia sta producendo danni. I sondaggi che Ipsos ha appena sfornato per i Democratici raccontano che in una settimana il giudizio sull’operato del governo è calato di un punto, al 55,3%. E soprattutto che nelle intenzio­ni di voto per la prima volta si è ridotta la forbice tra il Pdl (sceso al 38,7%) e il Pd (salito oltre quota 31). È un segnale d’allarme per il Cavaliere silenzioso.

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