Elezioni, la carta del Colle per agganciare i grillini

«E’ presto per mettere la testa sull’elezione del nuovo capo dello Stato. Comincerò a ragionarci quando si conosceranno le forze in campo, quando sapremo la composizione del nuovo Parlamento». Pier Luigi Bersani, da emiliano pratico qual è, frena ogni discussione sul toto-presidente. Eppure, il segretario del Pd ha già fissato una “linea di approccio” al Quirinale nel caso fosse lui a guidare il nuovo governo. E l’ha fatto rintracciando nella memoria le tappe che portarono all’elezione di Giorgio Napolitano.
IL NUOVO SCHEMA
Nel 2006 furono eletti prima i presidenti di Camera e Senato (Bertinotti e Marini), poi il capo dello Stato e solo dopo nacque il governo di Romano Prodi. «Uno schema che vide la scelta del presidente della Repubblica nell’ambito della saldatura della maggioranza di governo», dice un alto dirigente del Pd, «una maggioranza che fece quadrato, quasi si arroccò nella speranza di compattarsi».
Questa volta, invece, sarà tutto diverso. Entro metà marzo verranno eletti i presidenti delle Camere, poi prenderà vita il governo con la querelle annunciata Monti sì-Monti-no, e solo a metà aprile il Parlamento procederà all’elezione del capo dello Stato. «Fin da ora si può prevedere che, questa volta, la scelta del candidato del Quirinale sarà slegata dalla formazione della maggioranza di governo e la maggioranza non imporrà un proprio nome», aggiunge l’esponente democratico, «anzi, cercherà un consenso largo nel tentativo di imbastire un dialogo con l’opposizione per rendere il Parlamento meno rissoso e ingovernabile». In estrema sintesi: «Saranno avvantaggiati i candidati in grado di raccogliere un consenso ampio».
IL SACRIFICIO
Se questa è la linea è facile che Bersani (non a cuor leggero) potrebbe sacrificare Romano Prodi, se la pedina del Quirinale servirà ad agganciare i cento parlamentari grillini in entrata in Parlamento. E che l’aggancio del Movimento5Stelle sia la nuova frontiera del Pd è evidente. Lo provano le parole del segretario: «Dovremo fare scouting tra di loro...». E lo prova la dichiarazione di Massimo D’Alema: «Vogliamo dialogare con tutti, le cento persone che arriveranno in Parlamento con Grillo saranno interlocutori preziosi».
LE CONTROMOSSE DI PRODI
Ma Prodi, tornato alla ribalta salendo sul palco di Milano accanto a Bersani, Bruno Tabacci e Nichi Vendola, potrebbe essere proprio l’uomo giusto per agganciare i grillini. Quella del professore bolognese è chiaramente una candidatura di parte, riporterebbe allo schema di una maggioranza che si arrocca e l’elezione potrebbe scattare solo alla quarta votazione (per le prime tre serve una maggioranza dei due-terzi). Ma è anche vero che Prodi è l’unico accreditato di un possibile gradimento presso i grillini.
Perché per ben due volte è stato vittima di agguati di Palazzo (nel ’98 e nel 2008), perché non è un politico di professione. E soprattutto perché ha cominciato a sondare il M5Stelle: qualche tempo fa ha incontrato a Milano Gianroberto Casaleggio, il guru di Beppe Grillo. Insomma, dai grillini potrebbero arrivare i voti decisivi per l’ex leader dell’Ulivo e co-fondatore del Pd. «Però il professore non è interessato», garantisce Sandra Zampa, la sua portavoce.
LA SPONDA PDL
Ma resta valido lo schema caro a Bersani dell’«intesa larga». Così torna forte anche il nome di Giuliano Amato, anche se è stato sfiorato dall’affaire Montepaschi. La candidatura dell’ex premier, nel caso che l’esercito grillino dovesse risultare «indomabile alle dinamiche istituzionali», potrebbe risultare utile per rasserenare il clima parlamentare attraverso una ripresa di dialogo con il Pdl, magari depurato da Silvio Berlusconi. Ma il Cavaliere non resterà a guardare. Pur di fermare Prodi, Berlusconi ha già fatto sapere (ufficiosamente) di puntare alla rielezione di Napolitano («non fa il nome di Amato per non bruciarlo», dicono i suoi).
Una mossa velenosa per il Pd che si troverebbe in grave imbarazzo. Tanto più che su Napolitano convergerebbe anche Scelta civica. «Voterei la rielezione di Napolitano con estrema gioia», ha detto ieri Mario Monti, correndo a smentire di aver candidato Emma Bonino. Certo, il capo dello Stato ha più volte detto che non intende rimanere al Quirinale. «Ma se fosse un coro unanime a chiedergli di restare, probabilmente Giorgio ci ripenserebbe», dice uno dei consiglieri del premier.
Nei mesi scorsi si è anche parlato proprio di Monti e proprio per il Quirinale. Ma dopo la sua ”salita” in politica, questa ipotesi appare evaporata. Tanto più che il vero obiettivo del professore sembra essere la presidenza della Commissione europea nel 2014. Insomma, di sicuro c’è solo quello che dice D’Alema: «Non c’è nulla di peggio per un politico che essere candidato al Quirinale, non sono mai stati eletti...». O per dirla con Bersani: «Chi entra Papa, esce cardinale».
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