Egitto, rischio di guerra civile

Dalla Rassegna stampa

La Siria è già preda di una guerra civile e purtroppo l’Egitto si dirige nella stessa direzione. Vladimir Putin, ieri in Kazakistan, ha detto chiaramente quello che tutti temono: dopo il golpe dei militari e il (momentaneo?) fallimento del tentativo di affidare il governo ad interim a Mohamed EI Baradei la situazione rischia di diventare ingestibile. Ieri mattina, ad esempio, un attentato ha colpito il gasdotto che dal Sinai - dove nei giorni scorsi sono stati uccisi un prete copto e almeno cinque soldati - raggiunge la Giordania: azioni simili erano state attribuite, negli anni scorsi, a gruppi religiosi estremisti, ma l’ultimo risaliva ad un anno fa. Anche le manifestazioni dei gruppi pro e contro Mohammed Morsi, il premier islamista deposto nei giorni scorsi, sono continuate. Tanto i gruppi che contestano le azioni dell’esercito, riuniti nella cosiddetta "Alleanza nazionale a sostegno della legittimità", quanto il movimento popolare Tamarod (Rivolta, ndr), che ha animato la rivolta di piazza Tahrir, hanno manifestato a Il Cairo: i primi si sono recati davanti al palazzo in cui l’ex premier sarebbe tenuto agli arresti e sostengono che non se ne andranno fino alla liberazione del loro leader (le vie d’accesso alla zona, comunque, sono presidiate dall’esercito), i secondi sono tornati in decine di migliaia nel loro luogo d’elezione. La città, intanto, continua ad apparire spettrale: le strade della metropoli sul Nilo restano deserte, e i negozi chiusi, nel timore di nuovi scontri o violenze.

ANCHE AL JAZEERA , la tv satellitare all news con sede in Qatar, ha fatto le spese del caos e della guerra tra fazioni contrapposte che sta incendiando il Paese: ieri il procuratore generale egiziano, vicino all’ex premier Morsi, ha ordinato una perquisizione nella sede della tv al Cairo e il fermo del direttore Abdel Fattah Fayed e di altre 28 persone dello staff. L’accusa è aver trasmesso materiale che incitava alla violenza in occasione della decisione dei militari di deporre il precedente governo. Anche numerosi canali tv filo-Morsi, comunque, sono stati chiusi: è il caso, ad esempio, di Misr 25 dei Fratelli Musulmani (che potrebbero anche vedere arrestati due loro dirigenti). Situazione tesa, come si vede, anche se ieri senza notizie di scontri o vittime (almeno al momento in cui andiamo in stampa). L’unica soluzione, come sostenuto anche dal governo italiano per bocca di Emma Bonino, sarebbe trovare un accordo sul nuovo premier che soddisfi tutti i movimenti politici in campo: "L’Egitto ha urgente bisogno di ritornare alla normalità evitando arresti arbitrari e assicurando un regolare processo alle persone arrestate", ha detto il nostro ministro dopo una serie di incontri in Kuwait. La situazione, però, non sembra sbloccarsi visti i veti contrapposti delle varie fazioni. Anche Barak Obama, che sembrava aver appoggiato la soluzione EI Baradei, ieri ha dovuto fare un deciso passo indietro: "Gli Stati Uniti respingono categoricamente le false affermazioni diffuse da alcuni in Egitto, secondo cui stiamo lavorando con specifici partiti politici o movimenti per dettare come dovrebbe procedere la transizione dell’Egitto", ha specificato la Casa Bianca.

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