Ecco perché la politica deve rimanere un'arte

Dalla Rassegna stampa

I partiti politici devono cambiare forma e struttura. Devono darsi altre regole e rispettarle. La democrazia necessita di un "metodo liberale" in grado di tutelarla mentre gli attuali apparati partitocratici, al contrario di quanto servirebbe, non hanno più niente di liberale al loro interno e sono ormai divenuti oligarchie verticistiche. Il Pd, l'Udc, il Pdl, la Lega e tutti i maggiori partiti appaiono vecchi, anzi: sono vecchi. Più che partiti assomigliano sempre più a soggetti burocratici senza idee e senza dibattito, troppo chiusi nelle proprie nomenclature e gerarchie, con la sola premura di trovare un modo per sopravvivere a questo cambiamento che rischia di spazzarli via. Il cambiamento in corso, però, si muove secondo tutta un'altra mentalità rispetto a quella dominante negli attuali partiti. La mia idea è che la politica sia un'arte. Non a caso, la politica è visione del mondo, intuizione delle forme, immaginazione del possibile, realizzazione di un'idea. In poche parole, la politica è l'arte del "nuovo possibile". Insomma, la politica è tale se è in grado di governare gli eventi, prevedere gli imprevisti, superare le crisi. La politica è tale se sa ascoltare, comprendere, osservare. La politica è un'arte con sue specifiche peculiarità, con sue particolari caratteristiche, con forme e materiali di difficile lavorazione. Gli inetti dovrebbero astenersi da questa pratica perché non è più il tempo degli alchimisti, degli stregoni e dei venditori di fumo. La politica, come pure l'arte, nasce dalla memoria, vive nel presente e si proietta con un progetto verso il futuro. La sua missione è di sconfiggere il tempo e innalzare la vita dei cittadini. La politica è come la musica, anche quando non usa le parole, sa che può parlare in profondità. È come la danza, perché quando il corpo è in movimento può anche scegliere il silenzio. E come il teatro, perché ha bisogno di un palcoscenico. Perché l'arte è linguaggio, comunicazione, creatività. Al primo posto degli impegni degli attuali partiti, invece, c'è l'ennesima controriforma della legge elettorale, che dovrebbe cambiare tutto perché nulla cambi. E così, di conseguenza, agli occhi degli elettori, si indeboliscono tutte le vecchie sigle. Ma non basta: si ribaltano le alleanze codificate, l'attuale classe dirigente è percepita come responsabile di un fallimento politico senza attenuanti e l'inadeguatezza dei vertici è evidente. Il futuro non appartiene più a questi partiti, cioè a questa forma opprimente del Potere fine a se stesso, che esiste soltanto allo scopo di preservare e perpetuare se stesso. La politica non è quella rappresentata dagli apparati dei vari mono-poli, a cominciare dal Terzo Polo. La politica non è il pragmatismo ideologico dei fatti, ma la forza delle idee, del dialogo, della discussione. La Politica, con la maiuscola, non è il Potere. La Politica non è quella della partitocrazia. La Politica è il "potere", ma scritto con la minuscola, cioè inteso come possibilità". La Politica è l'arte del "nuovo" possibile. Proprio a tal proposito, ritengo di particolare importanza soffermarmi sull'articolo di fondo scritto dal direttore, Arturo Diaconale, e intitolato "La dottrina della cattiva politica". Perché si tratta di un editoriale che, forse, offre la lettura politica più lungimirante, tra quelle apparse in questi giorni, e che riguarda l'appuntamento elettorale del 2013. In modo più specifico, merita una discussione più ampia e approfondita il ragionamento svolto da Diaconale inerente la doppia sfida che si è aperta da una parte per il Quirinale e, in concomitanza, per il dopo-Monti alla guida del governo. Ma soprattutto il direttore ha espresso un giusto monito rivolgendosi all'intera e attuale classe politica usando parole inequivoche: "Il futuro non passa per le alchimie ed i giochi dei politici di professione o di complemento ma dalla consapevolezza che solo un grande ed effettivo cambiamento farà terminare l'emergenza!". Infatti, in queste ultime settimane, si è fortemente ridotta la stima degli elettori nei confronti degli attuali partiti, stima che è scesa a tal punto da raggiungere la percentuale più bassa da molto tempo a questa parte: appena l'8% degli elettori. Tanto che, alla richiesta dei sondaggisti di indicare il partito che si intenderà votare, ben il 45% degli intervistati si rifiuta oggi di rispondere. Quindi, si è formato già un altro campo rispetto a quello del blocco unico del Potere partitocratico e trasversale di destra-centro-sinistra. Ci vuole un soggetto politico innovativo e riformatore, liberale e democratico, in grado di rappresentarlo.

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