"Ecco l’arcipelago degli orrori dove il regime siriano tortura"

Ventisette centri di tortura dove gli agenti di Bashar Assad infieriscono su oppositori e gente comune, praticando oltre venti diverse tecniche di maltrattamenti e diffondendo il terrore nella popolazione siriana: a descrivere l’«Arcipelago delle torture» è un rapporto di 81 pagine confezionato da Human Rights Watch sulla base delle testimonianze di oltre duecento ex detenuti, ora fuggiti all’estero, che hanno subito abusi dall’inizio della rivolta.
Dieci centri di tortura si trovano a Damasco, gestiti da ogni diverso apparato di sicurezza siriano. Altri sono ad Aleppo (2), nella città portuale di Latakia (4) e in tre dei centri che sono stati teatro delle proteste più intense: Daraa (3), Homs (4) e Idlib (4). I metodi adoperati per infierire sulle vittime includono percosse con mani e bastoni, elettroshock, scosse sui genitali, graffette metalliche sulle orecchie e sul petto, false esecuzioni, unghie strappate, ustioni con l’acido, sospensione al soffitto per i polsi, minacce di stupri e morte dirette contro i famigliari, oltre ad alcune tecniche peculiari dei servizi segreti siriani.
L’ex detenuto «Mustafa», ad esempio, imprigionato nell’agosto 2011 nella «Sezione 227» di Damasco, ha raccontato di essere stato oggetto del «falaqa»: è stato legato mani e polsi a un ’sta come un capretto,e quindi percosso con bastoni d’acciaio. Nella sede dell’intelligence militare di Aleppo invece il detenuto «Omar» nell’aprile 2011 ha subito il «Basat al-Reeh»: legato a una croce di legno, è stato percosso violentemente sotto le palme dei piedi. A Daraa, in un ufficio dell’intelligence dell’aviazione sotto il comando del colonnello Qusay Mihoub, l’ex detenuto «Marwan» nel giugno del 2011 fu portato in un sotterraneo dove due uomini lo obbligarono a stare in ginocchio sul pavimento, colpendolo «sulla bocca e sulle giunture» con lunghi bastoni di gomma con dentro fili di metallo.
A Homs, roccaforte dei ribelli sunniti, l’ex detenuto «Munir» nel maggio 2011 fu trasportato al comando dell’intelligence militare, sotto la responsabilità dell’ufficiale Muhammad Zamreni, per subire il «dulab»: testa e gambe infilate dentro uno pneumatico, poi colpi inferiti con bastoni corti di legno. Fra le vittime ci sono anche donne, anziani e bambini ma in maggioranza si tratta di giovani uomini, compresi fra i 18 e 35 anni.
La conclusione di «Human Rights Watch» è che «torture e orrendi maltrattamenti sono a tal punto estesi, ripetuti e sistematici da poter essere definiti una politica di Stato e dunque costituire un crimine contro l’umanità» destinato a essere contestato dal Tribunale penale internazionale dell’Onu a chi li ha praticati, ordinati e decisi.
© 2012 La Stampa. Tutti i diritti riservati
SU