Il duello e la guerra dei sospetti

Dalla Rassegna stampa

Le parole di solidarietà rivolte a Fini da Berlusconi e Schifani per il nuovo attacco del Giornale (relativo a un contratto della Rai con una società della madre della sua nuova compagna, Elisabetta Tulliani), e quelle di rassicurazione indirizzate al premier dal presidente della Camera nello studio di Porta a porta, dovrebbero bastare a dimostrare che non c’era nulla di preordinato, che non s’è trattato, insomma, del battesimo parlamentare della maggioranza nuova versione formata da berlusconiani e finiani separati in casa.
Eppure, dopo l’approvazione, con un solo voto in più del centrosinistra (e ben 95 in meno, tra assenti e in missione, del centrodestra), dell’emendamento proposto dal Pd al disegno di legge sul lavoro, tornato alla Camera dopo il rinvio deciso dal Capo dello Stato, e la conseguente sconfitta del governo, la guerra dei sospetti s’è scatenata prima in aula e poi nel Transatlantico, a segnalare un deterioramento del clima interno del partito del presidente del consiglio. Due deputati, Giancarlo Lehner e Antonino Lo Presti, rispettivamente berlusconiano e finiano, stavano per venire alle mani e sono stati trattenuti, mentre gli scambi di accuse tra i due schieramenti sono andati avanti per tutto il pomeriggio.
Se dunque, è legittimo credere, non c’era alcun disegno per mettere il governo in difficoltà - nella giornata, tra l’altro, in cui anche Bossi s’è dato da fare per scongiurare il pericolo di elezioni anticipate -, è altrettanto chiaro che lo scontro aperto in direzione giovedi scorso tra Fini e Berlusconi e la scia di polemiche che sono seguite stanno creando un effettivo disorientamento all’interno dei gruppi parlamentari.
Specie in quello della Camera, dove le dimissioni del vicepresidente Bocchino potrebbero portare presto ad un voto segreto degli oltre duecentosettanta parlamentari, per confermare o cambiare i vertici del gruppo. Oppure, ciò che è più probabile, per esprimere attraverso la votazione segreta il malessere di chi assiste a quel che sta accadendo nel Pdl temendo che possa costargli il seggio in Parlamento, prima ancora che scattino i termini per la pensione. A giudicare da quel che sta accadendo, dunque, l’ammorbidimento dei toni tra i due cofondatori non basta.
Se davvero hanno deciso di non farsi la guerra e provare a convivere anche in presenza di forti divergenze, è necessario che Fini e Berlusconi disinneschino le mine sul campo prima che esplodano. Sapendo che ogni giorno ne troveranno di nuove.

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