Due pesi e due misure di fronte ai terroristi

Un giorno ci spiegheranno perché con tutti gli ostaggi sì, e con Aldo Moro invece no. Perché riteniamo cosa giusta, umana, rispettosa dei sentimenti e dei diritti della persona, trattare con terroristi, tagliagole e fanatici in Afghanistan, in Iraq, in Siria, nell’Italia delle Brigate Rosse che avevano rapito Cirillo e dove si mercanteggiava persino con la camorra, e invece considerammo sacrosanto l’inchino alla spietata ragion dì Stato in quei tragici 55 giorni del ‘78, dopo la strage della scorta del leader Dc a Via Pani, quando Moro implorava dalla «prigione del popolo» un’azione per salvargli la vita e la maggioranza politica si acconciò piuttosto a un intransigentismo cieco, tetragono, indifferente alle suppliche di un prigioniero, riverito e omaggiato fino al giorno prima.
Ci dovranno ancora spiegare il perché di quell’ostentazione di spietatezza e di rivendicata insensibilità. Di quei tentativi di misconoscere il leader democristiano da parte dei suoi stessi amici, che lo rinnegarono pubblicamente pur di non dargli ascolto. Di quell’arroganza verso lo schieramento trattativista minoritario eppure combattivo, formato grosso modo dai socialisti di Bettino Craxi, i Radicali, Leonardo Sciascia e pochi altri intellettuali che non si piegarono alla disciplina militare e vennero bollati come disertori da Giorgio Amendola, il giornale Lotta continua, segmenti impauriti della Chiesa cattolica refrattari alla subordinazione del valore della vita e della persona umana alla statolatria incarnata dalla linea dell’«intransigenza». Per non riconoscere lo status di interlocutori politici ai brigatisti, si disse. Ma ai decapitatori questo status viene riconosciuto, a chi ha scatenato la guerra santa e tiene alla catena nei suoi sotterranei volontari, giornalisti, lavoratori, religiosi occidentali, a questi guerrieri che usano sgozzare le loro vittime al termine di un rituale di terrore e di morte, a questi invece riconosciamo volentieri lo status di combattenti politici?
Chi era favorevole alla trattativa per salvare la vita di Moro veniva addirittura accusato di fare il gioco degli assassini della scorta. E adesso, chi tiene in ostaggio uomini e donne che rischiano, letteralmente, la testa, non si è forse macchiato di crimini orrendi? In quei giorni, l’atto stesso del trattare veniva considerato un cedimento, una falla nella corazza di uno Stato che non era nemmeno capace di individuare i covi dei rapitori delle Br. Non il merito di una trattativa, che poteva essere rifiutato, ma la trattativa in sé, qualunque fossero le condizioni. E si arrivò persino a far pressioni su Paolo VI per eliminare dall’appello accorato agli «uomini delle Brigate Rosse», perché liberassero il suo amico Moro, ogni riferimento a una possibile trattativa. Perché una spietatezza così concentrata su un solo uomo? Perché il valore della vita di Moro non contava niente, in quel furore gelido della «Ragion di Stato»?
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