Il dragone brucia i progetti di Obama

Dalla Rassegna stampa

L’ AMERICA sente  il fiato del  dragone sul collo. I dragoni  soffiano fuoco, averne  uno dietro non è una posizione comoda.  Perciò la notizia del sorpasso  Cina-Giappone scuote gli Stati  Uniti più di ogni altro paese: la  prossima volta tocca a loro.   I L NEW York Times sottolinea la  «crescita spettacolare» della  Repubblica Popolare e cita le  stime secondo cui «sorpasserà gli  Stati Uniti già nel 2030» (con  vent`anni di anticipo sul previsto).  Il Wall Street Journal parla di «exploit  senza precedenti nella storia  dei paesi emergenti». Ospita i giudizi  degli economisti di J.P. Morgan  Chase secondo cui «è impressionante  come l`economia cinese  abbia continuato a crescere mentre  il resto del mondo sprofondava  nella recessione». Non si sa se nella  reazione americana prevalga  l`inquietudine per la rincorsa della  grande rivale; oppure il disagio  per il declino giapponese: molti  infatti temono che gli errori commessi  a Tokyo nel curare la deflazione  degli anni Novanta si ripetano  oggi a Washington.  Altri in America osservano che  la Cina è già numero uno mondiale,  come partner commerciale di  altre nazioni, in molte aree dei  mondo dall`Asia all`Africa. I prezzi  delle materie prime ormai vengono  decisi a Pechino e Shanghai. E  una magra consolazione osservare  che il reddito pro capite cinese  (3.600 dollari annui) è meno di un  decimo di quello americano  (46.000 dollari) perché nei rapporti  di forza tra superpotenze la stazza  demografica ha un peso.  Nell`immediato per Barack  Obama il problema non è la variazione  della classifica nel "campionato  dei Pil". Più grave è il fatto che  stanno sfumando due aspirazioni  della sua presidenza. La prima è  quelladi "volare sulla coda del dragone".AI  G-20 di Pittsburghun anno  fa Obama indicò la via maestra  per risanare gli squilibri dell`economia  mondiale: «Noi americani  dobbiamo smettere di vivere al di  sopra dei nostri mezzi e risparmiare  di più; voi cinesi dovete imparare  a consumare e importare di  più». La seconda attesa di Obama  era di poter instaurare, se non proprio  un direttorio Usa-Cinatipo G2,  quantomeno una fruttuosa cooperazione  tra le due superpotenze. Alla vigilia delle elezioni legislative  di raid-terra, invece, la Cina si  rivela un handicap pe ril presidente.  Il deficit commerciale degli Stati  Uniti con Pechino è risalito ai  massimi. La promessa rivalutazione  del renminbi si fa aspettare.  La Cina rallentale sue importazioni  dall`Occidente, con rare eccezioni  come la Germania. Il premio  Nobel dell`economia Paul Krugman  ha calcolato che una sostanziale  rivalutazione del renminbi, e  un riequilibrio nelle bilance commerciali  tra Pechino e il resto del  mondo, darebbero alla crescita  globale un impulso pari a + 1,5% in  un anno. Un impatto enorme, se  commisurato alla crescita asfittica  dell`Occidente. Ma quella promessa  non si materializza. "Volare  sulla coda del dragone" resta un  privilegio riservato alla Germania  e alle nazioni fornitrici di materie  prime come Australia, Nuova Zelanda,  o correlate con il ciclo cinese,  come il Brasile. Il club di quelli  che beneficiano dello sviluppo cinese  è più esteso di quanto crediamo  noi occidentali, ma purtroppo  non include quell i che ne avrebbero  più bisogno: gli Stati Uniti e le  aree deboli dell`Eurozona.  Almeno una parte della sua delusione,  l`America se l`è procurata  da sola. L`idea di approfittare del  boom cinese esportando più prodotti  ad alta tecnologia (come fa la  Germania) è stata by-passata dalle  stesse multinazionali Usa: che  delocalizzano in Cina una quota  sempre maggiore di attività avanzate.  La Microsoft ha uno dei suoi  maggiori centri di ricerca a Pechino,  la Ibm a Shanghai. Applied  Materials ha spostato il suo principale  laboratorio d`innovazione a  Xian, una città che per molti occidentali  è solo la sede dell` armata di  guerrieri di terracotta. Più di mille  multinazionali hanno già trasferito  centri di ricerca in Cina. A sua  volta, la grande industria cinese si  appropria rapidamente delle nostre  tecnologie, attraverso le acquisizioni  di imprese. Come ha  fatto Gee1y comprando dalla Ford  il marchio Volvo, per 1,8miliardidi  dollari. È significativo il fatto che  Pechino abbia diminuito i suoi investimenti  nei buoni del Tesoro  americani (di cui resta comunque  il primo detentore estero con 844  miliardi) per diversificare gli acquisti  in favore di azioni delle imprese  Usa. Una sorpresa analoga è  avvenuta nelle politiche ambientali.  Dopo avere incassato il no di  Wen Jiabao a Copenaghen, Obama  ha dovuto rassegnarsi al fatto  che il Senato di Washington non  approverà la sua legge sulle riduzioni  di Cot. Nel frattempo però il   governo di Pechino, pur ritenendosi  svincolato da impegni internazionali,  procede vigorosamente  nello sviluppo delle energie rinnovabili.  E un altro settore dove  conta di effettuare "sorpassi" non  meno clamorosi.  L`ammirazione della J.P.Morgan  verso una Cina che si è sottratta  alla recessione globale, non si  estende al metodo usato dal presidente  Ho Jintao. La classe dirigente  di Pechino sta sperimentando il  più grande modello di capitalismo  di Stato e "dirigismo di mercato"  mai tentato nella storia. Per Obama  è quasi una beffa. Le politiche  keynesiane che a lui vengono negate  da un Congresso e un`opinione  pubblica terrorizzati dai deficit  statali, sono le stesse ricette che la  Cina manovra con spregiudicatezza.  E le consentono di allungare  il passo nella rincorsa del secolo.

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