Dove fa acqua la difesa

«Ho pagato la casa con un mutuo di 610 mila euro. Chi dice altre cose mente». Così il ministro Claudio Scajola rimane arroccato sulla propria posizione.
Sono trascorsi ormai dieci giorni da quando si è saputo che nel 2004 avrebbe ricevuto 900 mila euro in assegni circolari dall’imprenditore Diego Anemone per comprare un appartamento di 8o metri quadrati vista Colosseo. Ma nessuna spiegazione anche solo apparentemente credibile è stata fornita. Nessun nuovo elemento è stato offerto, rispetto alla versione iniziale. Anzi. Le sue risposte continuano a sembrare deboli, soprattutto alla luce di quanto raccontato dai testimoni e delle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza.
«Al momento del rogito il ministro ci diede gli 80 assegni», hanno dichiarato dì fronte agli investigatori le proprietarie dell’immobile. E il riscontro è arrivato dall’analisi dei loro conti correnti, dove quei titoli risultano subito depositati. «Presi gli assegni, e li consegnai al ministro nel suo ufficio dove sapevo che si sarebbe stipulato l’atto», ha raccontato ai pubblici ministeri l’architetto Zampolini, che proprio Anemone avrebbe incaricato di gestire l’operazione. E il riscontro è arrivato dall’ex autista di Angelo Balducci che oltre un mese fa, dunque ben prima della divulgazione della notizia, aveva svelato di avergli consegnato i contanti. Accusare le due signore di mentire sembra un azzardo, visto che quanto hanno messo a verbale le espone anche al rischio di concorrere nel reato di evasione fiscale non essendo stati mai dichiarati all’erario quei 900 mila euro.
Ma soprattutto Scajola non spiega per quale motivo i testimoni direbbero il falso. Nutrono risentimento nei suoi confronti? Esistono retroscena di questa vicenda che potrebbero averli spinti a incastrarlo? Nulla risulta. Ma se così fosse, dovrebbe immediatamente denunciarlo. «Andrò dai magistrati quando i miei impegni me lo consentiranno», ripete il ministro. La sua versione ha preferito consegnarla ai giornali, pur sottolineando di essere «contrario ai processi mediatici» che, invece, ha contribuito ad alimentare con una difesa altrettanto «mediatica». E ha scandito: «Non mi dimetto». Prima di pensare all’eventuale abbandono dell’incarico, basterebbe rendere pubblici i documenti che, a suo dire, servono a scagionarlo. E così fugare ogni sospetto sui suoi rapporti con Anemone, imprenditore che s’è già dimostrato privilegiato nell’aggiudicazione degli appalti pubblici.
Sono trascorsi ormai dieci giorni da quando si è saputo che nel 2004 avrebbe ricevuto 900 mila euro in assegni circolari dall’imprenditore Diego Anemone per comprare un appartamento di 8o metri quadrati vista Colosseo. Ma nessuna spiegazione anche solo apparentemente credibile è stata fornita. Nessun nuovo elemento è stato offerto, rispetto alla versione iniziale. Anzi. Le sue risposte continuano a sembrare deboli, soprattutto alla luce di quanto raccontato dai testimoni e delle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza.
«Al momento del rogito il ministro ci diede gli 80 assegni», hanno dichiarato dì fronte agli investigatori le proprietarie dell’immobile. E il riscontro è arrivato dall’analisi dei loro conti correnti, dove quei titoli risultano subito depositati. «Presi gli assegni, e li consegnai al ministro nel suo ufficio dove sapevo che si sarebbe stipulato l’atto», ha raccontato ai pubblici ministeri l’architetto Zampolini, che proprio Anemone avrebbe incaricato di gestire l’operazione. E il riscontro è arrivato dall’ex autista di Angelo Balducci che oltre un mese fa, dunque ben prima della divulgazione della notizia, aveva svelato di avergli consegnato i contanti. Accusare le due signore di mentire sembra un azzardo, visto che quanto hanno messo a verbale le espone anche al rischio di concorrere nel reato di evasione fiscale non essendo stati mai dichiarati all’erario quei 900 mila euro.
Ma soprattutto Scajola non spiega per quale motivo i testimoni direbbero il falso. Nutrono risentimento nei suoi confronti? Esistono retroscena di questa vicenda che potrebbero averli spinti a incastrarlo? Nulla risulta. Ma se così fosse, dovrebbe immediatamente denunciarlo. «Andrò dai magistrati quando i miei impegni me lo consentiranno», ripete il ministro. La sua versione ha preferito consegnarla ai giornali, pur sottolineando di essere «contrario ai processi mediatici» che, invece, ha contribuito ad alimentare con una difesa altrettanto «mediatica». E ha scandito: «Non mi dimetto». Prima di pensare all’eventuale abbandono dell’incarico, basterebbe rendere pubblici i documenti che, a suo dire, servono a scagionarlo. E così fugare ogni sospetto sui suoi rapporti con Anemone, imprenditore che s’è già dimostrato privilegiato nell’aggiudicazione degli appalti pubblici.
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