E dopo Mentana spunta Mieli con l'aiutino al leader di Fli

Sul presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini c'è l'ombra di Paolo Mieli: al confronto Enrico Mentana è un dilettante. Già indicato come lo spin doctor dell'ex leader dì Alleanza nazionale, l'ex direttore del Corriere della Sera non a caso gode di ottima stampa sulle pagine del Secolo d'Italia. L'ultima occasione per elogiarlo è stata fornita dal documentario che Raitre ha mandato in onda a coronamento del discorso finiano di Mirabello: realizzata da Bruno Di Marcello sotto l'attentissima cura di Mieli, la seconda serata della terza rete era dedicata alla figura di Giorgio Almirante, il numero uno del Movimento sociale italiano.
E il quotidiano di via della Scrofa ha sottolineato il modo di leggere la storia italiana nella trasmissione Correva l'anno, con Mieli definito come uno «storico impegnato da sempre in una divulgazione scientifica seria», fino a trascrivere quasi interamente l'editoriale pronunciato dal giornalista al termine del documentario, un testo che il Secolo suggerisce di utilizzare anche per illustrare la politica di Fini (roba da far arrabbiare, e di brutto, donna Assunta): «Lungo è stato il tragitto di Almirante: partito dall'Italia fascista per giungere poi a un ruolo di primo piano della democrazia. Lunga la sua vita ma non senza senso, nel senso che il patrimonio di autorità e di autorevolezza che Almirante aveva raccolto nel suo mondo lo spese per costituzionalizzare la sua parte politica». Un modo davvero singolare per raccontare Almirante, che guidava un gruppo che era fuori dall'arco costituzionale per sua stessa scelta, orgoglioso di non far parte della partitocrazia (idea condivisa con il radicale Marco Pannella, tra l'altro), motivo principale della definizione di chiamare «movimento» e non «partito» la forza politica della destra.
Fatto sta che il Secolo continua a valorizzare Mieli, spiegando, con le parole del giornalista, che Almirante pur rimanendo «per molti anni il capo della parte estremista, quando riprese la segreteria fece in modo che man mano le cose cambiassero». In questo lungo periodo Almirante si trasformò, guardando a una fase nuova, «quella in cui il partito poteva finalmente guardare agli altri», rendendo capace «una tribù fedele ai propri valori di dialogare con tutti, persino con i comunisti». Un'affermazione, quest'ultima, che nelle vecchie sezioni farebbe volare tavoli e sedie, ma che Mieli sfrutta subito dopo utilizzando l'immagine di Almirante, commosso, ai funerali di Enrico Berlinguer: «Fu un gesto non solo doveroso, ma dal forte impatto simbolico, capace di mandare un messaggio subliminale al proprio popolo: quello, dopo tanti anni di odio reciproco, del rispetto per l'avversario».
E il Secolo sottolinea che dalle parole di Mieli «emerge la figura di un leader moderno» che è «particolarmente inserito nella vicenda repubblicana», caratterizzato da «rispetto, capacità di stare nel sistema e di prefigurare nuovi scenari», ovvero «la dote migliore che Giorgio Almirante ha dato ai suoi successori». Assist straordinario per Fini, e con un commento, ideato dal quotidiano, nel quale si scrive che non è un caso, ad esempio, che proprio lo scrittore Roberto Saviano abbia invocato proprio Almirante auspicando il ritorno di una destra che si batteva contro le mafie. Un'eredità scottante, quella del leader del Msi, che porta il quotidiano finiano a stigmatizzare «alcuni ex colonnelli di An» che «si affannano alla ricerca di improbabili sentimenti nostalgici sulla sua figura, trasformandolo in una sorta di santino», quando invece «gli interpreti più genuini dell'esperienza di Almirante guardano altrove». Tanto a scrivere la storia poi ci pensa Mieli...
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