Dopo 5 anni l'obiettivo è riformare la Curia

A cinque anni dall’elezione, Benedetto XVI riparte dall’inizio. Ormai (in Germania, Gran Bretagna, Austria) gli episcopati nazionali collaborano con le autorità civili e applicano direttamente la «tolleranza zero» del Pontefice per evitare insabbiamenti, coperture, ritardi e per aggirare il «muro di gomma» dei dicasteri vaticani. Dalla revoca della scomunica al vescovo negazionista Williamson alle resistenze al «giro di vite» sugli abusi del clero, il primo quinquennio ratzingeriano è costellato di incidenti diplomatici, crisi interreligiose, errori di comunicazione provocati dalle inveterate inefficienze della macchina curiale. Nulla di nuovo per il teologo bavarese che in un quarto di secolo in Curia ha maturato una convinzione: ormai la burocrazia ecclesiastica, tra inadeguata preparazione dei prelati, costi, corruzione e «governance» in tilt, è più un ostacolo che un servizio alla Chiesa universale.
Nella "Via Crucis" del 2005 la pubblica denuncia del «marciume» nella Chiesa fu per il cardinale Ratzinger un «manifesto elettorale» al pari delle omelie ai funerali di don Giussani e Wojtyla. Poi, appena eletto Papa, affidò al ministro vaticano delle Finanze Nicora, un piano di ridefinizione della pletorica e controproducente Curia che non ha mai visto la luce. Sulle orme del riformatore Paolo VI, Joseph Ratzinger ha sempre messo tra le priorità del pontificato il superamento dei «labirinti vaticani» nei quali gli scandali sessuali e finanziari continuano a proliferare. Che Oltretevere fosse necessario un drastico cambiamento strutturale lo sapeva bene anche un altro ex funzionario vaticano come Montini. Alla fine degli Anni 60, perciò, Paolo VI attuò l’ultima grande riforma nei Sacri Palazzi. Adesso Benedetto XVI vorrebbe ricominciare da lì per dare impulso a una rivoluzione complessiva nei dicasteri pontifici.
Tagliare i ministeri si è però dimostrata un’impresa difficilissima. I dicasteri per il Dialogo interreligioso e la Cultura sono stati prima accorpati poi di nuovo separati, così come tutti i tentativi di ridurre il numero degli uffici curiali e di sfrondare l’organico vaticano si sono infranti contro un muro di ostilità. Anche i ministeri per la «Giustizia e la Pace» e l’Immigrazione prima sono stati uniti da Benedetto XVI poi sono tornati due entità distinte. Disciplinare la Curia indocile è considerata da Ratzinger un’esigenza vitale per la Chiesa sotto attacco per i «nostri peccati». Resistenze, rivalità curiali, cordate di aspiranti a promozioni e guerre mediatiche a colpi di dossier tra vecchio e nuovo corso, stanno frenando la sua azione di «purificazione».
«Incontriamo resistenze al messaggio del Vangelo - ha evidenziato ieri Benedetto XVI alla Valletta incontrando i giovani -. La cultura odierna promuove idee e valori in contrasto con quanto predicato da Gesù: sono presentate con grande potere persuasivo, rinforzato dai media e dalla pressione sociale di gruppi ostili alla fede cristiana». E’ qui che per Joseph Ratzinger si gioca la sfida decisiva, adesso che «nel contesto della società europea, i valori evangelici stanno tornando a essere una contro-cultura come lo erano al tempo di San Paolo».
Cinque anni di luci ed ombre, soprattutto per la solitudine del Pontefice in una Curia poco collaborativa rispetto ai suoi slanci di risanamento e moralizzazione. «Il tempo è passato rapido e le vicende sono state intense - spiega il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi -. Per leggere correttamente il quinquennio bisogna tornare alla Cappella Sistina, la mattina dopo l’elezione, quando il nuovo Papa raccoglieva l’eredità spirituale di Karol Wojtyla e indicava le priorità che avrebbero orientato il suo servizio nella vigna del Signore». E cioè: il rapporto dell’uomo con Dio, l’impegno «senza risparmio di energie» per ricostituire «la piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo», il desiderio di rispondere alla «richiesta di aiuto da parte dell’odierna umanità turbata da incertezze e timori, si interroga sul suo futuro». E ancora, il dialogo «aperto e sincero» con i seguaci delle altre religioni o con quanti cercano risposta alle domande fondamentali dell’esistenza, «per la ricerca del vero bene dell’uomo e della società».
«Non c’è dubbio che queste siano state le priorità reali del pontificato, perseguite con coerenza e coraggio in un contesto spesso non privo di tensioni e di ostacoli - ammette padre Lombardi -. Ma Benedetto XVI ha detto fin dall’inizio che non avrebbe cercato di far brillare la luce propria, ma quella di Cristo. Auschwitz, Istanbul, New York, Sydney, Parigi, l’Africa, Gerusalemme. Sinagoghe e moschee, encicliche sulla carità, sulla speranza, sull’etica nello sviluppo, nell’economia e nel rispetto dell’ambiente. Un bilancio ricco e pieno, di servizio di Dio e dell’umanità».
Intanto ad accendere i riflettori dell’ opinione pubblica sulla Santa Sede sono stati quasi esclusivamente la violenta reazione islamica al discorso di Ratisbona sulla fede autentica, i mai sopiti conflitti con l’ebraismo sulla preghiera per la conversione del Venerdì santo, la beatificazione di Pio XII e i dialoghi dottrinari con i lefebvriani, le accuse alla Chiesa per la gestione degli scandali sessuali. Eppure sono innegabili i risultati positivi del pontificato.
I rapporti tra Roma e Mosca non sono mai stati così buoni: nei seminari ortodossi sono entrati come manuali i libri di teologia di Joseph Ratzinger. Nella lettera ai cattolici cinesi il Papa ha saputo trovare una formulazione che accontentasse sia i diplomatici più accondiscendenti con Pechino sia il fronte più battagliero guidato dal cardinale Joseph Zen. E anche la possibilità di tornare a celebrare liberamente in latino è stata metabolizzata bene dalle diocesi. L’azione per sanare le ferite del passato è ritenuta necessaria dagli episcopati nazionali che, attraverso i nunzi apostolici, attuano le direttive del Pontefice contro gli abusi del clero, bypassando una Curia bloccata da tensioni interne e in gran parte presidiata da capidicastero ultra75enni in scadenza di mandato. «La battaglia di Joseph Ratzinger si capisce a partire dalla Curia che ha trovato cinque anni fa al momento dell’elezione e cioè una corte sovrastata dal carisma di Wojtyla ma non governata ed endemicamente caotica», sottolineano i fedelissimi del «riformatore mite» Benedetto XVI.
© 2010 La Stampa. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments