Domino di fine legislatura: il no alla riforma elettorale è anche un no a Monti

Dalla Rassegna stampa

Siamo alle ultime settimane della legislatura e su questo sembrano esserci pochi dubbi. A parte l'indispensabile legge di stabilità e un paio di decreti da convertire, il Parlamento sembra ormai esausto. Mai come oggi l'agonia, peraltro quasi conclusa, della legge elettorale acquista un sinistro valore simbolico.

Nessuno, nemmeno Berlusconi, vorrebbe assumersi in prima battuta la responsabilità esplicita di affossare quella riforma che il Quirinale ha più volte invocato. Ma siamo di fronte proprio a questo scenario. Siamo a un passo dal votare con il vecchio "Porcellum" e non tutti ne saranno dispiaciuti: non il Pd bersaniano che si prepara a vincere nelle urne; ma neanche - strano a dirsi - il padre-fondatore del Pdl che è consapevole di andare a perdere e nonostante ciò si è affrettato a tagliare la strada a qualsiasi trattativa. La verità è che c'è una logica nel caos, anche se non è sempre facile intravederla. Come in un perverso gioco del domino, ogni mossa porta a un'altra, ogni pedina che cade ne travolge una vicina.

Nel partito berlusconiano il fronte della riforma, sensibile ai richiami di Napolitano, è ormai perdente, ma è lo stesso che guarda a Monti per ritrovare l'equilibrio che il centrodestra ha perso e che non può ritrovare con l'ultima raffica di Berlusconi. Del resto riforma vuol dire (o voleva dire) attenuazione del bipolarismo, maggiore spazio ai movimenti centristi vecchi e nuovi, raccordo con i Popolari europei e quindi anche con le posizioni di Angela Merkel. Una linea i cui contorni generali erano ben riassunti nella recente lettera del presidente del Senato Schifani al "Sole 24 Ore".
Affossare la riforma, vuol dire perseguire obiettivi opposti. Se Berlusconi rovescia il tavolo, ripetendo lo schema della Bicamerale nel 1998, non si limita a cancellare la legge, ma prepara l'epilogo del governo Monti e della legislatura.

Non ha senso infatti tenere in piedi l'esecutivo "tecnico" dopo aver salvato il "Porcellum", avviandosi verso lo scontro duro con la sinistra di Bersani-Vendola. È una scelta estrema, ma chiara. Significa che Berlusconi sa di perdere, ma ritiene di poter riaggregare intorno a se stesso e a una nuova Forza Italia, comunque sarà ribattezzato il Pdl, una fetta del vecchio mondo che aveva creduto in lui. Significa anche che ritiene di poter comporre le liste per le elezioni a suo piacimento, privilegiando i fedeli a scapito di tutti coloro che l'hanno contraddetto o contestato.
E vuol dire, sul piano delle intenzioni, cercare una nuova alleanza con la Lega nella speranza di tenere sotto controllo le regioni del Nord, specie nella prospettiva del voto al Senato. Il "no" a Monti può creare un terreno comune con il Carroccio maroniano. Peraltro è chiaro che l'unico obiettivo possibile, in caso di voto con il "Porcellum", è impedire al centrosinistra la conquista della maggioranza anche a Palazzo Madama. E in quel caso Berlusconi può illudersi di pesare ancora sulla scena politica e di condizionare il governo futuro.
Rompere sulla legge elettorale equivale a varcare il Rubicone, preparandosi a un conflitto senza sconti, in cui prevarranno le tesi anti-europeiste, forse anti-euro, contro tutto ciò che il "montismo" ha incarnato nell'ultimo anno. E il pretesto è a portata di mano: l'accorpamento delle elezioni regionali con le politiche, chieste con vigore dal Pdl. Il dado è tratto. Quasi.

 

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