La domenica degli astensionisti

Più del come, il quando. È dal 1997 che i referendum abrogativi non riescono a superare lo scoglio del quorum ed è da allora che lo scontro tra i partiti si gioca attorno alla data di convocazione in una vera e propria campagna elettorale preventiva. La legge che nel 1970 ha dato concretezza con 22 anni di ritardo a un istituto che anche i costituenti, soprattutto Togliatti, consideravano pericoloso e che alla fine fu introdotto nella Carta con mille cautele, prevede che le consultazioni si svolgano in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. Così nei nove referendum che si sono svolti dal 1974 al 1995 il quorum della maggioranza degli aventi diritto è stato sempre raggiunto, tranne una volta che si è votato a giugno (nel 1990 sulla caccia e i pesticidi). Viceversa dal '95 ad oggi il quorum non si è raggiunto mai, tutt'al più si è sfiorato l'unica volta che si è votato ad aprile (referendum elettorale del'99). Naturale quindi che favorevoli e contrari si siano distinti più sulla data di convocazione che nel merito dei quesiti. È impossibile quindi trovare una coerenza nelle posizioni.
Il ministro Maroni, per esempio, che ieri ha annunciato la data del 12 giugno per i prossimi referendum, otto anni fa sosteneva l'opportunità dell'election day. Un problema che si è posto sempre, considerato che non c'è primavera senza elezioni amministrative. E visto che l'idea di mettere insieme voti diversi, uno di democrazia rappresentativa e uno di democrazia diretta, è sempre apparsa come una forzatura non costituzionale o non conveniente, a pagare è stato sempre il referendum. Finito avanti nel calendario, quando le scuole sono chiuse e gli elettori al mare. Nel 1997 a fissare le consultazioni nell'ultimo giorno utile, domenica 15 giugno, fu il ministro dell'interno Napolitano, «ministro di polizia» secondo un furibondo Pannella. Che si giocò tutto su sette referendum misti - dalle privatizzazioni alle carriere dei magistrati all'ordine dei giornalisti - e perse il quorum anche a causa dell'oscuramento televisivo. Fu in quell'occasione che il leader radicale agli scioperi della fame aggiunse le comparse in tv travestito da fantasma e fu allora che per tenerlo a bada la vigilanza Rai inventò le tribune elettorali in differita.
Due anni dopo il centrosinistra aveva cambiato idea e sostenne l'anticipo del referendum, con Prodi, appena sostituito da D'Alema a palazzo Chigi, in veste di referendario. Nel 2003 toccò al governo Berlusconi fissare la data del poco sentito referendum per l'allargamento dell'articolo 18, e i Ds sospettarono che una data vicina al secondo turno delle amministrative fu scelta giusto per danneggiare l'opposizione.
Ma è con il più recente referendum abrogativo, quello del 2005 sulla procreazione assistita, che l'astensionismo è diventato a tutti gli effetti una posizione pubblica legittima, apertamente rivendicata - ancor più che nel celebre «andate al mare» di Craxi nel'91 e nel caso anche propagandata dalle autorità del confinante stato Vaticano. Naturale dunque che il ministro Pisanu abbia deciso di concedere l'aiutino della domenica più lontana, un altro 12 giugno, approfittando anche dei consigli ricevuti dai preoccupatissimi cattolici del centrosinistra. E anche quel referendum finì affossato, votò solo un elettore su quattro. Impressionante il confronto con trent'anni prima quando andarono a votare praticamente tutti:l'88%.
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