Distruzioni di valore

Leggendo le cronache di questi giorni c'è da rabbrividire. I magistrati sospettano che al Monte dei Paschi di Siena agisse una banda del 5 per cento, destinataria di una tangente su ogni operazione. Comprese quelle che danneggiavano la banca. La Seat Pagine Gialle, venduta nel 1996 dal Tesoro per 850 milioni, ha fruttato ai privati nei vari passaggi di mano almeno 12 miliardi. E sta ora scivolando in un penoso concordato dopo aver subito una colossale distruzione di valore, dai 23 miliardi dell'epoca d'oro a 17 milioni.
Su quel cadavere già spolpato a dovere volteggiano consulenti, professionisti, banche d'affari. Perché quando succede una cosa del genere state sicuri che lì intorno si muovono un sacco di soldi. Ha fatto scalpore la cifra impegnata nei primi due anni per la liquidazione Parmalat affidata a Enrico Bondi, pari a 32 milioni. Ma altrettanti ne avrebbe distribuiti in consulenze il liquidatore dell'Alitalia Augusto Fantozzi che, dopo aver ricevuto 6 milioni di compensi, ne avrebbe pretesi altri 3 successivamente alle dimissioni causate dalla decisione del precedente governo di sostituire il commissario unico con una terna. Tre commissari, tre compensi: mentre gli italiani già tiravano la cinghia.
Va detto che sarebbe ingiusto non considerare anche i risultati ottenuti, per esempio il salvataggio della Parmalat (poi finita ai francesi). Ma se in Italia le procedure di liquidazione durano decenni un motivo c'è, ed è legato ai soldi. In ogni caso l'ordine di grandezza di alcuni compensi ha oltrepassato di gran lunga la soglia moralmente accettabile.
E le astronomiche parcelle delle banche d'affari? Per i derivati del Comune di Milano, oggetto di un processo concluso in primo grado con la condanna di quattro istituti, l'accusa stimava 80-90 milioni. Gli advisor finanziari incaricati di seguire la ristrutturazione del debito Seat, ha scritto il Sole 24Ore, hanno portato a casa ben 40 milioni: e non è servito a evitare il concordato. Mentre 20 milioni di commissione avrebbe incassato per l'ormai famoso «Fresh» del Monte dei Paschi, finito nel mirino della magistratura, l'americana JPMorgan. La medesima banca che, dopo aver gestito quel singolare prestito obbligazionario, all'inizio di gennaio abbassava il rating dell'istituto senese. Strabiliante.
Duecento milioni sono invece i balzelli pagati a banche e studi legali per l'acquisizione di Fonsai da parte di Unipol. Per non parlare del pregresso. Dal 2005 al 2011 la famiglia di Salvatore Ligresti ha guadagnato 407 milioni grazie a operazioni concluse dalla Fonsai «con parti correlate», come l'acquisto di immobili della stessa famiglia. Di più. La società che negli ultimi due anni perdeva 2,7 milioni al giorno versava 42 milioni per «consulenze» al suo azionista di riferimento e 11 milioni di buonuscita all'amministratore delegato. Alla faccia dei risparmiatori che avevano comprato le azioni in Borsa.
C'è da domandarsi che cosa sia successo a questo Paese, per essere diventato terreno di tali scorribande. E se pure questo non abbia a che fare con il degrado morale della politica e della vita civile. Di una cosa però siamo sicuri: senza un recupero di etica anche da parte di un altro pezzo della nostra classe dirigente, dalla grande finanza alle potenti corporazioni, ai professionisti e agli imprenditori, sarà molto difficile risollevarsi.
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