Disoccupazione record. E il Pil va giù del 5%

Dalla Rassegna stampa

I numeri lo certificano: il 2009 è stato l'anno in cui tutti i record negativi sono stati (purtroppo) battuti. Ripensando alle polemiche di 18 mesi orsono, con il governo Berlusconi che definiva irresponsabile chiunque esprimesse preoccupazione per la potenza devastante della crisi, fa  impressione osservare i dati del Conto 2009 dell'Istat: il prodotto interno lordo che è crollato del 5%; il deficit pubblico che raggiunge quota 5,3%; la pressione fiscale che cresce a quota 43,2%, il debito che torna al 115,8% del Pil. Un anno da dimenticare, ma che a quanto pare non ci riusciamo a scrollare di dosso. Perché sempre l'Istat ci certifica nel mese di gennaio un nuovo record nefasto. Stavolta sul fronte della disoccupazione, stabile all'8,6%. Vale a dire, 2,1 milioni di persone che cercano invano un posto di lavoro.
I numeri, innanzitutto. Il 5 per cento del Pil, ovvero della ricchezza prodotta in Italia è stata spazzata via dalla recessione. Siamo sui livelli di Germania, Gran Bretagna e Giappone, molto meglio di noi hanno fatto gli Usa e la Francia (-2,2%). Non eravamo andati mai così male dal lontano 1971. Il valore aggiunto è caduto a picco in tutti i comparti, ma non si può non notare che mentre i servizi e l'agricoltura hanno sostanzialmente tenuto meglio (rispettivamente - 2,6% e -3,2%) per le costruzioni (-6,7%) e per l'industria in senso stretto è stata letteralmente un'ecatombe (-15,1%). Inevitabile - per le maggiori spese, le minori entrate fiscali e per l'effetto
generato dalla riduzione del Pil - il peggioramento dei conti pubblici: il rapporto deficit/Pil (l'indicatore di Maastricht) è salito dal 2,7% al 5,3%. Il saldo primario (il «motore» della finanza pubblica, ovvero la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi) per la prima volta dal 1991 è stato negativo (-0,6% del Pil). Vola anche il rapporto debito/Pil, che ha raggiunto quota 115,8% al termine del 2009. Dieci punti più del 2008, record negativo dal 1997. Le entrate fiscali complessive sono diminuite dell'1,9% rispetto al 2008, ma alla fine la pressione fiscale complessiva (quante tasse paghiamo in rapporto alla reddito nazionale) è cresciuta dello 0,3% al 43,2% del Pil.
Sono invece di gennaio i dati sull'occupazione. Il tasso di disoccupazione (8,6%) è uguale a quello di dicembre 2009, ma è cresciuto di 5.000 unità il numero dei senza lavoro, che sono 2.144.000. Da notare lo spaventoso tasso di disoccupazione giovanile, pari al 26,8%. Unica notizia quasi positiva, l'andamento del fabbisogno nel mese di febbraio, comunicato ieri dal Tesoro: il mese appena concluso è andato meglio del febbraio 2009, e nei primi 2 mesi del
2010 il «rosso» risulta inferiore di 8,8 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2009.
La fotografia dell'Istat ovviamente alimenta le critiche di opposizione e sindacati, che chiedono provvedimenti per spingere l'economia e il lavoro. Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani «abbiamo un governo che, come un disco rotto, ripete che stiamo meglio di altri. Con la sua ignavia propagandistica si sta assumendo una responsabilità storica di cui dovrà rispondere al Paese». I ministri del Lavoro Maurizio Sacconi e dello Sviluppo Economico Claudio Scajola sottolineano che gli ammortizzatori sociali ci fanno reggere «meglio della media dell'Eurozona» (Sacconi), e che «la ripresa, sia pure lenta e timida, è iniziata» (Scajola). Ironico il commento di Pier Ferdinando Casini, leader Udc: «Il governo ha dato un contributo contro la disoccupazione, ha fatto quattro nuovi sottosegretari».
 

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