Il diktat del premier nella notte “Fate spazio a Nicole e Giorgio”

Dalla Rassegna stampa

Sono le due di notte di venerdì 27 febbraio 2010. In viale Monza, sede storica prima di Forza Italia e ora del Pdl, le linee telefoniche sono roventi. L’ultimo vertice tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi ha appena sbloccato la composizione del listino Per la Lombardia che appoggia la ricandidatura per la quarta volta di Roberto Formigoni. Appena in tempo per consegnare l’elenco dei magnifici sedici, con in testa il governatore, la mattina dopo all’ufficio elettorale presso la Corte d’Appello. Ma le firme a sostegno del listino devono essere tutte raccolte di nuovo. Bisogna contattare tutti i militanti, farsi consegnare i dati o obbligarli a firmare anche nel cuore della notte. Si tratta delle stesse firme contestate come false dai radicali che oggi depositeranno in Procura una nuova memoria sul caso Minetti, Formigoni, Bossi e Berlusconi. La composizione del listino, infatti, quella notte era cambiata ancora una volta. E soprattutto l’ordine dei candidati, visto che solo i primi otto avevano la garanzia di essere eletti. Ma il premier era stato irremovibile: la Minetti e Puricelli dovevano diventare consiglieri regionali.
 
 L’ultimo a farne le spese era stato Paolo Cagnoni, uomo di fiducia di Sandro Bondi, uno dei coordinatori nazionali del partito nonché ministro della Cultura, depennato in extremis. Per far posto a Doriano Riparbelli, finito al terzo posto dopo lo stesso Formigoni e il capogruppo del Pdl in Regione Paolo Valentini Puccetelli, e soprattutto alla Minetti, laureata in igiene dentale al San Raffaele dopo qualche comparsata nel programma Mediaset Colorado Cafè, e a Giorgio Puricelli, fisioterapista del Milan e del Cavaliere. Tanto da far slittare in fondo perfino il leghista Andrea Gibelli, candidato da Bossi a diventare il vice governatore della Lombardia. Per non parlare degli altri leghisti, Monica Rizzi, Giulio De Capitani, Luciano Bresciani e Mario Cavallin, scivolati addirittura nei secondi otto posti "non garantiti". E che infatti non sono stati eletti, ma ricompensati quasi tutti con alcuni assessorati.
 
 «La Lega aveva garantito cinquecento firme a sostegno del listino - ammetterà poi in un’intervista a Repubblica il ministro della Difesa Ignazio La Russa – ma si è presentata alla due di notte solo con trenta firme autenticate. Qualcuno si è fidato troppo e ha sbagliato. Mi avevano detto che era stato nominato un responsabile del tesseramento, che evidentemente non ha fatto quello che doveva. Io costringevo sempre tutti a impegnarsi fino all’ultimo minuto. Controllavo i certificati elettorali e alla fine tutte le firme erano regolari. Ma hanno detto che ero troppo ingombrante e questa volta non me ne sono occupato. A furia di non voler invadere il campo degli altri si finisce con il non risolvere i problemi».
 
 La lotta era stata durissima e l’accordo era stato trovato in extremis. Fino all’ultimo il Pdl voleva riservare al Carroccio solo cinque posti. Metti qui e sposta là: fino alla zona Cesarini di sabato mattina, con grande perdita di tempo. Indecisioni e dubbi. Con un’unica certezza: l’elezione da garantire alla Minetti e a Puricelli.
 
 Le conferme e le smentite si erano rincorse anche sulle liste provinciali. L’ex assessore regionale Giancarlo Abelli forse a Brescia. No, perché Berlusconi lo vuole con sé a Roma. Massimo Buscemi a Milano, ma sarebbe meglio che corresse a Varese. Lui che punta i piedi e viene eletto per il rotto della cuffia perché dava fastidio a Stefano Maullu, protetto dal coordinatore regionale del Pdl Guido Podestà. Niente in confronto alla rissa per il listino.

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