Dietro lo psicodramma della legge elettorale i nodi politici irrisolti

Dietro lo psicodramma della riforma elettorale, in cui si consuma da mesi quel che resta della politica italiana, c'è un nodo politico ben preciso. Riguarda il destino dei due maggiori partiti, il Pd e il Pdl.
Se fosse una partita di calcio, si potrebbe dire che Bersani dispone di due risultati utili: può andargli bene lo stallo definitivo con la conferma dell'attuale "Porecellum" (magari con qualche ritocco minore); ovvero un accordo che recepisca lo schema che sembrava idoneo fino a poche settimane fa e che all'improvviso è evaporato. Viceversa il centrodestra deve stare attento a dove mette i piedi.
La vecchia intesa tecnica Verdini-Migliavacca era un'ipotesi di soluzione che mancava di un contesto politico adeguato. In altre parole, Berlusconi non sa ancora dove pilotare il suo partito, quale abito confezionargli in vista delle elezioni, quale obiettivo porsi, se conservare il timone della leadership nelle sue mani o affidarlo a un nome nuovo, se possibile di forte richiamo.
Tutte queste incertezze determinano infiniti ritardi. Se fosse chiara la prospettiva politica del centrodestra, si costruirebbe intorno ad essa una legge elettorale su misura e c'è da credere che in quel caso si troverebbe in fretta una convergenza con l'altro grande partito, il Pd. Ma la destra vive da tempo una crisi d'identità che le rende difficile qualsiasi scelta e questo spiega anche i lunghi silenzi di Berlusconi, a cui corrispondono gli interventi generici dei suoi collaboratori.
A parte gli attacchi a Casini, è arduo cogliere di questi tempi un tema politico elaborato dalle parti del Pdl.
È vero che il centrosinistra va sui giornali più che altro per le mine innescate da Renzi, con la lotta generazionale che ne deriva, nonchè per le incognite dell'alleanza con Vendola. Ma in questa fase dà l'impressione di avere le idee molto più chiare del centrodestra. In fondo Bersani ha confermato ieri che le primarie per la scelta del candidato saranno «aperte»: un gesto di coraggio, benchè atteso, e una garanzia offerta a Renzi. A Palazzo Grazioli, viceversa, si vive aspettando le intuizioni del capo carismatico. Il quale però è lungi dal ritrovare il «tocco magico» del passato.
Così il palcoscenico è deserto e la commedia langue. La paralisi della legge elettorale nasce di qui. La settimana prossima, in assenza di accordo, si tornerà in commissione e poi si andrà in aula. Tutti contro tutti. Il rischio che alla fine si resti con il "Porcellum" un po' aggiustato è reale.
Del resto anche il premier Monti, sulla scia di Napolitano, ha sollecitato i partiti a trovare l'intesa su «una buona legge». S'intende che non ci sono segnali circa un intervento diretto del governo in materia elettorale: intervento che sarebbe sulla carta possibile e del tutto legittimo, ma assai inopportuno in termini politici.
Al dunque, si aspetta. Se certi nodi saranno sciolti, soprattutto a destra, la legge si farà, giusto in tempo per andare a votare tra febbraio e marzo. Altrimenti si voterà lo stesso, ma i partiti avranno perso un'altra occasione. Il vero pericolo è che il prossimo Parlamento nasca con gli stessi vizi e gli stessi squilibri del vecchio. Sarebbe un salto nell'ignoto quando invece l'Europa ci chiede certezze. Non a caso il tema della campagna elettorale dovrebbe essere la continuità del governo Monti, sia pure in una nuova cornice politica. Ma anche su questo siamo in alto mare.
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