Diamo credito all'impresa antimafia

Dalla Rassegna stampa

Imprese e banche contro il crimine organizzato: sarebbe più facile con regole di vigilanza in grado di premiare le imprese dotate di codice antimafia con rating più favorevoli, in modo da aumentare le possibilità di erogazione del credito a quelle imprese da parte delle banche.
La scorsa settimana, il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi ha sollevato con grande efficacia il tema della criminalità organizzata come zavorra per un sano e regolare sviluppo dell'attività d'impresa nel nostro Sud. La vulnerabilità ambientale e istituzionale è il nocciolo duro della questione meridionale.
Di fronte a un simile problema strutturale – ha continuato il Governatore – il contributo del sistema finanziario per migliorare l'allocazione del credito si trova anch'esso fortemente condizionato: i divari che permangono tra Centro Nord e Mezzogiorno nelle condizioni creditizie di accesso e di costo sono proprio spiegati dai deficit ambientali e istituzionali.
Ma qualcosa si può fare, per sviluppare l'alleanza tra imprese e banche contro la criminalità organizzata. Nei mesi scorsi, nell'ambito dell'attività di ricerca del Centro Paolo Baffi, abbiamo elaborato insieme a Giovanni Fiandaca un codice antimafia per le imprese. Perché proporre un nuovo insieme di regole d'impresa, ancorché specificatamente pensato alle aziende impegnate nelle aree a più alto rischio criminalità?
La risposta è semplice: pensiamo che un rischio specifico – come quello dell'infiltrazione nell'impresa da parte della criminalità organizzata – debba essere affrontata con uno strumento peculiare, finalizzato a perseguire un duplice obiettivo: creazione di valore economico per la singola impresa, se il codice aumenta l'integrità aziendale, nel rispetto della sua economicità di gestione; creazione di valore sociale per la comunità nel suo complesso, attraverso il contributo indotto in termini di tutela dell'ordine pubblico e di difesa della legalità.
Inoltre, tale strumento deve nascere dall'iniziativa privata, perché soprattutto nel nostro paese il settore privato non può sottrarsi alla responsabilità di contribuire a quello che si può considerare un autentico ripensamento copernicano dell'intervento contro il crimine organizzato.
Occorre decisamente superare il vecchio paradigma che lega il ristagno economico alla crescita della criminalità organizzata. Anzi, segnali di crescita economica e finanziaria – non inseriti in un quadro caratterizzato da una struttura economico-finanziaria di base trasparente e competitiva e da un sistema pubblico efficiente che garantisca la tutela dei diritti personali e delle relazioni contrattuali – rischiano di produrre rischi di alta vulnerabilità ambientale all'inquinamento da criminalità organizzata.
In un contesto di alta vulnerabilità ambientale, anche le scelte degli operatori legali diventano a rischio. Il singolo operatore economico segue verosimilmente un comportamento adattivo rispetto alle regole del gioco in atto; perciò, in un contesto deteriorato e vulnerabile, è più alto il rischio che progressivamente le condotte patologiche, di atteggiamento passivo, o addirittura collusivo e cooperativo, con la criminalità organizzata, si diffondano. L'economia nera e l'economia grigia aumentano la loro diffusione e pervasività, e anche le politiche di prevenzione e contrasto, generali e specifiche per il sistema economico e finanziario, perdono grandemente d'efficacia.
Allora la singola impresa può e deve contrastare il rischio d'infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Non bastano le generali regole di corporate governance. L'impresa deve conoscere di più tutti i propri interlocutori: dipendenti, fornitori, clienti, e su tali informazioni costituire indici d'attenzione e meccanismi d'autotutela, "suonatori di fischietto" inclusi. Questa è la direzione su cui si muove il codice antimafia.
L'autotutela contro i rischi d'aggressione economica da parte delle imprese può essere incentivata anche da un diverso disegno delle regole. Una proposta può essere quella di pensare anche a una regolamentazione bancaria che incentivi l'adozione del codice antimafia. Sappiamo che l'erogazione del credito dipende dal rating che la singola azienda ha in termini d'affidabilità.
Nessuno può negare cha un'azienda meglio attrezzata a prevenire e a gestire il rischio criminalità organizzata è un'istituzione più affidabile. La migliore affidabilità dovrebbe allora riflettersi, a parità di altre condizioni, sul rating dell'azienda stessa, e migliorare le condizioni a cui il credito viene erogato.
È anche significativo il fatto che, nei giorni scorsi, una Commissione, nominata dall'assessore alla presidenza della Regione Siciliana, ha ultimato i propri lavori elaborando un "codice antimafia e anticorruzione della pubblica amministrazione".
Il documento è suddiviso in vari titoli che riguardano non solo il personale - del quale si auspica una sempre più approfondita formazione, con l'opportuna rotazione dei funzionari che attendono a sensibili e specifiche materie - ma disciplinano anche il settore degli appalti di opere, forniture e servizi - sui quali si riversano gli appetiti mafiosi - l'edilizia – per evitare le facili variazioni degli strumenti urbanistici con terreni che, acquistati come agricoli, vengono poi destinati all'edificazione o ad insediamenti produttivi – e altre materie ancora.
Una previsione premiale è poi quella che, in caso di gara che si conclude con uguale punteggio tra più imprese, prevede l'assegnazione dei lavori a quella che ha dimostrato di aver eseguito – su richiesta di organi pubblici – opere di demolizione e sistemazione rese necessarie dalle previsione urbanistiche e dalla normativa in termini di beni confiscati alla mafia. Questa sinergia tra privato e pubblico, se coltivata, può costituire un nuovo e proficuo fattore d'indebolimento delle imprese mafiose. Occorre la volontà di partire. C'è?
 

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