Di Pietro rotola libero nella stiva del Pd

Antonio Di Pietro è una minaccia per il Pd, nel senso che è un suo terribile antagonista politico. Lo ha dimostrato anche alla festa del Pd di Torino nella quale, opposto a un tribuno come Franco Marini, lo ha sbranato. Di Pietro infatti è un bull dog che non molla l'osso. Quando c'è da vincere una partita dialettica, davanti a un pubblico che chiede il sangue, Di Pietro strizza gli occhi, dilata la bocca, fende l'aria con la mano a taglio e non fa sconti a nessuno. Il suo antagonista esce di solito triturato perché Di Pietro non ha prudenze nell'esprimersi, né cautele nel demolire tesi, idee e persone.
A un Marini che suggeriva che «sarebbe un grave errore abbandonare Casini e che quindi dobbiamo fare ogni sforzo per portarlo dalla nostra parte, nell'Ulivo», Di Pietro ha risposto dicendo, nella sua neolingua ruvida come la carta vetrata: «Che c'azzeccano Casini e Fini con noi? Casini, caro il mio bello, sarà il nuovo Mastella. Lui vuole il terzo Polo e fa il mestiere più vecchio del mondo». Quest'ultimo epiteto deve aver dato a Casini il senso della ruvida accoglienza con la quale sarebbe accolto nell'Ulivo se lui accettasse di traslocarvi. Di Pietro, di fronte a un Marini che usa il fioretto, ricorre alla clava. E il brutto per Marini è che Di Pietro riesce anche a farsi capire meglio: «Se a Fini e a Casini diamo il dito, quelli ti fregano il braccio. E poi manco la mamma lo vota a Fini, se si mette con il Pd».
Per delineare la sua strategia, Di Pietro usa solo le parole che gli servono, quando invece i politici di professione, abituati a rompere i capelli in quattro, ne utilizzano migliaia. Ad esempio: «Dobbiamo allearci a Fini solo per un battito d'ali: poi ognuno per la sua strada». Di Pietro, insomma, si fa capire. Gli altri politici invece si difendono dietro lo schermo delle parole fatte e la ragnatela dei condizionali o delle subordinate. La Waterloo di Marini, davanti a questa furia, è stata giustificata con motivi organizzativi: «In sala c'era 800 persone, la metà Idv: normale che finisse così». E l'ex presidente del senato: «Ai miei tempi ci si organizzava meglio». Nel senso che, evidentemente, non si consentiva l'accesso a chi avrebbe potuto dissentire. Altro che bavaglio. L'errore di aver valorizzato questo bisonte è stato di Massima D'Alema che, quando Di Pietro era nell'angolo, gli offrì un collegio toscano Pci sicuro dove, se si presenta una bottiglia, viene eletta anche questa. E poi il definitivo rafforzamento di Di Pietro lo si deve a Veltroni che chiamò Di Pietro al suo fianco dopo aver escluso socialisti e radicali. I frutti di questa scelte autolesionistiche sono chiare a tutti. Ma è troppo tardi.
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