Di Pietro non sa più che insulti inventare: «Stupratore»

Come dice Marcello De Angelis, PdL: «Berlusconi poteva far saltare il banco o dire a Fini: sediamoci a tavolino. Ha scelto la seconda. Ma ora bisogna capire chi si siede e per fare cosa». Il film della giornata comincia alle undici, quando il premier prende la parola in Aula. Non è un discorso di rottura. Tutt'altro. Renzo Lusetti, Udc, cresciuto nella Dc, la vede così: «Berlusconi? Mi è sembrato Andreotti IV del '91». Che può sembrare offensivo, ma se si pensa a quanto è durato il pluripresidente, è un complimento. A rompere l'incantesimo è Rosy Bindi che parla di «un patto di potere costruito sui suoi personali interessi». Due minuti dopo sveste i panni della pasionaria e sale sul banco più in alto a presiedere. Linda Lanzillotta, Api, accusa il premier di «intollerabile ipocrisia», mentre i peones del PdL fanno la fila per stringergli la mano. Ma non solo loro. Ci va Massimo Calearo, ex Api, che poi si asterrà, ma anche Pier Ferdinando Casini.
Il premier, per meglio ricambiare, si alza e non gli molla la mano per alcuni minuti. Nel frattempo Savino Pezzotta lo accusa di non aver detto una parola «su quello che è successo quest'estate». Ma se porterà in Aula il quoziente familiare o l'annunciato «piano in difesa della vita», promette, l'Udc li voterà. Anche Casini, poco dopo, gli rimprovera di aver fatto «un elenco di buone il - lesioni». Ma aggiunge: «Presenti le leggi, le voteremo». E dal'94, protesta, che sentiamo ripetere le stesse cose. «Non può essere sempre colpa degli altri se le cose non le fa». Ma tra i due, si è capito, non c'è animosità. Persino quando Casini gli risponde perle rime: «Le voglio bene, presidente. Sono buono come lei. Ma lei ci ha spiegato che c'è stata una scissione nell'Udc... Pensavamo di essere qui per la scissione di 35 deputati del PdL».
L'opposizione picchia duro. Ma il male, oggi, non arriva da lì. Pier Luigi Bersani definisce il capo del governo «l'impresario del teatrino della politica», uno che ha promesso «un sogno» diventato «una favola» e poi «mille bolle di sapone». Pierluigi Castagnetti, Pd, dice che il senso della giornata è questo: «Tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia». Daniela Melchiorre, dei Liberaldemocratici, miss Parlamento dei camionisti, corteggiata nei giorni scorsi, annuncia il suo voto contrario perché non ha parlato di green economy. Il premier, nonostante la giornata pesante, non perde la voglia di scherzare. Per esempio va incontro a Massimo Donadi, capogruppo dell'Idv, sotto l'emiciclo: «Ma è lei che è sempre così cattivo con me?». E l'altro: «Ma se sono un pezzo di pane!». Berlusconi: «Ma allora perché ce l'ha con me?». Donadi: «Non con lei, con le cose che dice». Intanto un collega del «pezzo di pane», Fabio Evangelisti, paragona il premier al dittatore Alexander Lukashenko. Nulla in confronto allo show di Antonio Di Pietro: «Lei è venuto qui a suonarci l'arpa della felicità come come faceva il suo predecessore, Nerone, mentre i barbari padani incendiano Roma e mettono al rogo l'Italia». Definisce il premier uno «spregiudicato illusionista», «maestro della massoneria», «piduista di lungo corso», «stupratore della democrazia».
Il finiano Luca Barbareschi non evoca regimi, ma fa sapere che «di miracoli, in questi anni, non ne ho visti tanti». E dà la colpa non solo al capo del governo, ma pure a quello di Mediaset: «Dopo dieci anni di Grande Fratello, abbiamo una generazione di lobotomizzati». Se Alessandro Maran, Pd, gli rimprovera di non aver mantenuto nessuna delle promesse fatte, il finiano Benedetto Della Vedova lo promuove per quello che «non ha fatto» (non ha aumentato la spesa pubblica). Rita Bernardini, radicale, lo invita a farsi un giro nelle carceri e riconosce che se il premier ha colpe, le deve dividere con chi lo ha preceduto negli ultimi 26 anni. «Lei fa l'appello ai moderati, ma non lo è né nei toni, né negli atti», attacca Bruno Tabacci, Api. «Lei è più debole di due anni fa. Minaccia le elezioni, ma poi non avvia la procedura. E non prometta, non le crediamo più». Ma alla fine il vincitore, sia pure provato e amareggiato, è ancora lui, il Cavaliere. Per dirla con un deputato del Pd, sconsolato: «Anche stavolta l'ha sfangata».
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