Di cosa parliamo quando parliamo di uninominale

Dalla Rassegna stampa

 

Il recente appello sull'uninominale promosso, tra gli altri, da Pietro Ichino, Marco Pannella e Mario Baldassarri, ha il merito di rimettere al centro del dibattito politico italiano il rapporto tra eletto ed elettore. Questo, da parecchi anni, è stato logorato da controriforme atte a ridimensionare il potere del cittadino a favore di quello dei partiti. Il punto più basso è stato sicuramente raggiunto con il cosiddetto "porcellum" ma le leggi elettorali che si sono susseguite prima di quella attuale, comprese quelle per i comuni e per le regioni, hanno sempre favorito un rapporto distorto con il territorio.
Il collegio uninominale è l'unica alternativa alle nomine delle segreterie di partito ed al sistema di potere che c'è dietro il voto di preferenza. Proprio per questo motivo nel 1993 il popolo italiano, a stragrande maggioranza, votò a favore del collegio uninominale. Scelta che fu "tradita" dal legislatore che inserì quel 25% di quota proporzionale, che nei fatti ridimensionò la grande riforma che i promotori della consultazione popolare avevano a cuore. Va ricordato che il grande sostegno dei cittadini giunse durante tangentopoli, che concise con il momento più critico per la partitocrazia italiana.
Purtroppo, sia il tradimento del referendum elettorale che quello sul finanziamento pubblico dei partiti, consentì a questi ultimi di conservare tutto il loro potere: infatti, negli anni successivi al terremoto giudiziario, abbiamo assistito al cambiamento di alcuni attori e di molte sigle elettorali ma purtroppo di mutamenti radicali che giovassero alla nostra democrazia non abbiamo visto neanche l'ombra. Il rischio che senza riforme strutturali si potesse passare al secondo tempo della Prima repubblica e non alla Seconda, fu il monito che Marco Pannella lanciò durante "mani pulite". Negli anni successivi a Tangentopoli il parlamento non ha approvato nessuna legge capace di riconsegnare interamente il potere di scelta ai cittadini e nessun passo in avanti è stato fatto in merito all'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione.
Il continuo intreccio della cronaca politica con quella giudiziaria, che continua tutt'oggi, è la miglior prova della giustezza dell'analisi di Pannella. L'alternativa è possibile solo con l'alterità nei comportamenti, altrimenti si parli di alternanza e nulla di più. Il sistema di potere dei partiti, che attanaglia il nostro paese da un sessantennio, può essere ridotto attraverso il collegio uninominale e, aggiungo, con le primarie previste per legge, a tutti i livelli, compreso quello locale. Le elezioni regionali, quelle comunali e quelle municipali, continuano a prevedere il voto di preferenza. Basta guardare cosa succede nelle assemblee elettive locali per capire che l'uso della preferenza non è auspicabile per chi vuole concepire una politica realmente alternativa. Lì dove dovrebbe nascere la futura classe dirigente del paese si ha un sistema elettorale che accentua il mantenimento dello status quo.
Infatti, coloro che possono aspirare ad essere eletti in queste assemblee sono i soli candidati che negli anni hanno saputo rendere feconde le proprie clientele, pratica distante dalla cura del territorio e dalla possibilità di riconoscersi in esso. Illuminante, in materia, la struttura del bilancio della Regione Lazio, di recente modificata: fino al bilancio 2006, con un meccanismo che è esploso sotto la giunta Storace, erano allegate al documento di previsione delle spese le fantomatiche "tabelle", un elenco di contributi da erogare senza alcuna ratio settoriale o geografica, se non il dover accontentare le clientele politiche di ciascun consigliere regionale.
Un contributo di circa 600.000 euro all'anno per ogni eletto che, senza nessuna regola, poteva essere girato ad associazioni, chiese, centri sportivi, enti, fondazioni e tanto altro. Non era altro che il modo di ripagare i loro "grandi elettori" attraverso i soldi pubblici. Quando questo sistema per delinquere fu attaccato dalla stampa, i fautori di quella vera e propria truffa si difesero richiamandosi al rapporto con il territorio. Questo è uno dei tanti modi della politica "a delinquere" di ampliare la propria base elettorale. Metodi illegali che favoriscono coloro che ogni giorno curano le proprie clientele. Infatti, se così non fosse, non si comprenderebbe come perfetti sconosciuti siano capaci di raccogliere decine e decine di migliaia di preferenze. Tutto questo accade senza che un solo magistrato abbia la voglia di indagare su questi fatti, ma quella della non-giustizia italiana è un altra storia (un altro capitolo!) della peste italiana.

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