"Il detenuto è morto": quando il carcere uccide e non si sa perché

Sono venuti a Roma con le fotografie, "quelle brutte" e "quelle belle". C`è un prima e un
dopo, nelle vite dei fratelli, delle sorelle, dei padri e delle madri che hanno perso in carcere uno
di loro. Lo spartiacque di solito è arrivato con una telefonata nel cuore della notte. Niente spiegazioni, nessuna compassione, pura formalità: "Il detenuto è morto". Perché, come, quando?
Niente da fare, hanno già messo giù. I familiari vogliono risposte: ieri sono tornati a chiederle al Senato, nel corso di un`iniziativa organizzata dall`associazione dei Radicali, Il detenuto ignoto.
Storie diverse, difficile fare confronti. Ma in tutti i casi un minimo comune denominatore c`è:
l`errore dello Stato. Una condanna sbagliata, una detenzione ingiusta, un suicidio inscenato. In
ognuna delle storie c`è l`errore di qualcuno: un giudice, un medico, uno psichiatra, un poliziotto.
Più difficile trovare qualcuno che abbia pagato. Alcune di queste storie hanno avuto la ribalta
della cronaca nazionale: quella di Stefano Cucchi, quella di Aldo Bianzino, quella di Federico Aldrovandi. Altre sono rimaste relegate nelle pagine locali. Manuel Eliantonio, per esempio, è
morto un anno e mezzo fa nel carcere Marassi di Genova. A sua madre al telefono hanno parlato
di un incidente. Suo figlio era in carcere per resistenza a pubblico ufficiale, era fuggito ad un
controllo. Cinque mesi e 10 giorni di reclusione. Ma dal carcere non è uscito vivo. Lei al Senato ha
portato tutte le immagini del corpo di suo figlio, martoriato, pieno di ecchimosi. Con sé ha anche
l`ultima lettera scritta da Manuel, il giorno prima di morire: "Mi ammazzano di botte almeno
una volta alla settimana, ora ho solo un occhio nero, mi riempiono di psicofarmaci". Marcello
Lonzi, invece, è morto l` l l luglio del 2003, a 29 anni, nel carcere di Livorno dove era detenuto per tentato furto. Morte naturale, dovuta a una caduta, la versione ufficiale. Ma i medici dicono che quelle costole rotte, lo sterno fracassato e tutti quei lividi non sono "compatibili con la caduta".
Anche Riccardo Rasman dicono sia morto per un collasso. Imbavagliato, con i polsi e le caviglie
legate con il fil di ferro, uno zigomo e l`osso del collo rotto, immerso nel sangue: forse sì, alla fine
un collasso gli è venuto. Sua sorella Giuliana da quel giorno è diventata "peggio di Perry Mason".
E grazie alle sue indagini è riuscita a far condannare tre poliziotti: sei mesi con la condizionale.
Tutto qui. Riccardo Boccaletti è entrato in carcere che pesava 86 chili. In tre mesi ne ha
persi quaranta. Sveniva ogni due o tre giorni. Sua madre ha chiesto spiegazioni. "Non sapevano
nemmeno quanto pesasse all`ingresso". Era dipendente dalla cocaina, voleva andare in comunità,
perfino lo psichiatra diceva "bisogna farlo uscire". Invece è morto così, chilo dopo chilo: "I
vostri figli li hanno ammazzati di botte - dice la madre alle altre famiglie che l`ascoltano - Il mio in un altro modo". E poi Stefano Frapporti, Simone La Penna, Katiuscia Favero, Giuliano Dragutinovic. Tutti sperano che non finisca come alla famiglia Scardella, che da 24 anni cerca di capire come sono andate le cose nel carcere di Cagliari. Loro figlio, Aldo, era in carcere da innocente, per una rapina di cui solo dieci anni dopo si troveranno i veri responsabili. Si è suicidato, dicono. Ma nel sangue di Aldo c`erano tracce di metadone, e nessuno
glielo aveva mai prescritto. Per gli Scardella, neanche una telefonata.
Che era morto l`hanno saputo dalla televisione.
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