Dentro il carcere, fuori dalla Costituzione

Dalla Rassegna stampa

Il carcere in Italia è fuori dalla Costituzione. Lo ha affermato anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Lui probabilmente si riferiva a quella parte dell'articolo 27 in cui si dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ma il carcere a volte diventa incostituzionale anche perché viola l'ultimo comma dell'articolo: “non è ammessa la pena di morte”. Stefano Cucchi e Diana Blefari Melazzi sono soltanto gli ultimi due episodi di morti avvenute all'interno di un istituto penitenziario.

“Dall'inizio del 2009 sono 62 i detenuti che si sono tolti la vita. A questi dobbiamo aggiungere numerose altre morti avvenute in circostanze da accertare. 150 morti in meno di un anno sono la prova che in Italia la pena di morte non è stata abolita”. A stilare il triste bilancio della situazione delle carceri italiane è l'onorevole Rita Bernardini, una radicale eletta nelle file del Partito democratico. Una vita, la sua, spesa sempre a favore dei più deboli, da quando nel '76, a soli 24 anni si dedica ai diritti delle persone portatrici di handicap.

Secondo Rita Bernardini l'attuale situazione di collasso dei penitenziari italiani è solo uno dei tristi capitoli di un problema più generale: una macchina della giustizia da troppi anni in panne. “Nel campo penale ci sono quattro milioni e mezzo di processi arretrati e ogni anno cadono in prescrizione circa 200 mila procedimenti, a causa della loro eccessiva lunghezza. E' una giustizia malata, ridotta a livelli insostenibili per una società civile. I criminali che possono permettersi gli avvocati migliori possono farla franca, mentre tante persone oneste si vedono costrette a mettere una croce sopra alle loro denunce”.

Un sistema ingiusto, dove si finisce in carcere più facilmente per reati minori, come il possesso di sostanze stupefacenti, piuttosto che per illeciti più impattanti sulla società e sul mercato come lo sfruttamento di manodopera clandestina, l'abusivismo edilizio e il falso in bilancio. “Stefano Cucchi non era un pericoloso delinquente. Era un ragazzo che era stato trovato con pochi grammi di sostanza stupefacente. Casi come questi dovrebbero prevedere gli arresti domiciliari.”

Cambiare la legge sulle droghe sarebbe un modo per mettere un freno al problema del sovraffollamento delle carceri. Ma in Italia un moralismo eccessivo unito a un'ignoranza diffusa sulla materia, e a una buona dose di interessi a mantenere l'attuale status quo, non permettono di affrontare seriamente il problema. “Come radicali da tempo proponiamo la legalizzazione delle sostanze stupefacenti – ci spiega la parlamentare -, una decisione che dovrebbe essere presa anche in merito al loro potere fortissimo di corruzione, reso evidente dal caso Marrazzo.”

A restare in vigore è invece una normativa, la Bossi-Fini del 2006, che non distingue nemmeno tra droghe pesanti e droghe più leggere. “Marijuana, eroina e cocaina sono messe tutte sullo stesso piano – continua Rita Bernardini - mentre si tratta di sostanze dagli effetti ben diversi. Molti studi ci dicono che la cannabis e la marijuana sono meno dannose dell'alcol o del tabacco, eppure i problemi sociali che creano sono sicuramente maggiori: sono tante le storie di vite devastate, ragazzi che, semplicemente per il fatto di essere stati denunciati o sbattuti in galera, si sono suicidati per la vergogna. Eppure non avevano fatto nulla di più pericoloso e dannoso di chi si ubriaca. Ciononostante sono stati additati alla stregua dei peggiori criminali”.

Come membro della Commissione giustizia, Rita Bernardini ha proposto, oltre alle misure alternative al carcere per i detenuti non pericolosi, l'istituzione di un Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà. “Oggi il carcere è un'istituzione opaca. Serve una figura per renderlo più trasparente”. Un'altra proposta ferma in Parlamento è l'anagrafe pubblica e digitale delle carceri, utile a monitorare giorno per giorno tutti i 206 istituti. Chiusa in un cassetto c'è anche la proposta di legge per l'istituzione del reato di tortura. “Consentirebbe all'Italia di adeguarsi finalmente alle normative europee e dell'Onu. Mi piacerebbe sapere con che nome chiama il ministro Alfano quanto capitato a Stefano Cucchi”.

Dal ministro della giustizia Rita Bernardini vorrebbe sapere anche altre cose. In due interrogazioni diverse ha chiesto un'indagine conoscitiva sulle morti nelle carceri e di chiarire se il maltrattamento dei detenuti in carcere sia una prassi oppure no. “Le risposte fornite dal ministro Alfano sono assolutamente inadeguate, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto della rieducazione e del reinserimento sociale del condannato. Il carcere italiano è il contrario di tutto questo, è ogni giorno di più una scuola di delinquenza. Non si può certo ritenere rieducativo tenere per 20 ore al giorno dei detenuti in cella senza coinvolgerli in nessuna attività”.

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