Delitti di stato e casi di tortura l'emergenza sconosciuta del Brasile

Salvo rare eccezioni, la stampa italiana ha ignorato l'assassinio di Patricia Acioli, giudice del Tribunale penale di Rio de Janeiro, impegnata in numerosi processi contro poliziotti corrotti e squadre della morte (milicias) avvenuto lo scorso 13 agosto. Il commando di 12 persone che l'ha uccisa non solo ha usato armi in dotazione esclusiva di forze armate e polizia civile e militare di Rio de Janeiro; ma ha agito quando al giudice era stata tolta la scorta armata nonostante le minacce di morte dopo aver condannato 4 agenti autori di almeno 11 omicidi su commissione: una plateale esibizione di potenza e un avvertimento ai magistrati che non si lasciano intimidire. Sia pure non così eclatanti, sono migliaia i police killings che terrorizzano il Paese più esteso dell'America Latina e che restano impuniti. Del Brasile sono noti i primati economici meno quelli in materia di violazione dei diritti umani.
Eppure indagini indipendenti documentano da tempo il consolidarsi di un modello di rapida crescita che si giova di forme diffuse di violenza, corruzione, discriminazione razziale. Una recente analisi comparata rivela il paradosso dell'unico Paese dove, finita la dittatura, siano aumentati i casi di tortura. Mentre l'Human Rights Council dell'Onu, Amnesty International, Human Rights Watch e le Pastorali della Conferenza Episcopale brasiliana segnalano l'uso crescente di lavoro in schiavitù, arresti arbitrari ed «esecuzioni extragiudiziali». Un escalation di forza letale attraverso la triangolazione di polizie, corpi speciali e milicias concentrata nelle favelas di Rio e di San Paolo dove vivono milioni di persone per lo più di colore, ritenute quantité négligeable.
Un «equilibrio del terrore» che la debole azione di contrasto del Governo non riesce a rompere mentre aumentano i casi di censura sui mezzi di informazione e di giornalisti di inchiesta minacciati, aggrediti o uccisi. Una più sistematica denuncia di questa aberrante deriva da parte dell'opinione pubblica del vecchio continente, divulgata con il dovuto risalto mediatico, offrirebbe una sponda solidale a chi in Brasile si batte per il rispetto dei diritti umani e le libertà civili.
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