Dei reati e dei peccati

Nel 1764 il giovane Cesare Beccaria, nobile illuminista milanese, diede alle stampe un libro che diventerà famosissimo: «Dei delitti e delle pene». Vi si proponeva l’abolizione della pena capitale, soppressa poi di fatto per la prima volta nel Granducato di Toscana nel 1786. La vicenda è nota, e il nome del marchese viene evocato ogni volta che l’argomento della pena di morte è rimesso in discussione. Meno noto è probabilmente il fatto che nello stesso scritto Beccaria effettuava una importante distinzione tra peccato e reato, e che fu proprio questa separazione a far finire l’operetta nell’Indice dei libri proibiti. Il reato, vi sosteneva Cesare Beccaria, è un danno fatto alla società e dalla società deve essere giudicato; il peccato invece è un’offesa recata a Dio e da Dio soltanto ha da essere giudicato e punito, giustificato o perdonato.
Il trattamento del reato è di competenza della legge positiva; quello del peccato, dei dettami della religione. Fu proprio grazie a questa distinzione tra la giustizia divina e la giustizia umana, la cui realizzazione era comunque già avvenuta ben prima del Secolo dei lumi, che si attuarono la laicizzazione della politica e la secolarizzazione della società, con le quali si metteva fine al regime giuridico nel quale non v’era separazione tra peccato e delitto, come avviene ancora ai giorni nostri nella shari’a islamica.
L’azione della chiesa cattolica, se da una parte ha dovuto accettare la separazione della giustizia dell’uomo da quella di Dio, ha dall’altra sovente cercato di evaderla, rivendicando la sottomissione della legge positiva ai dettami della legge divina: per esempio nel caso della bestemmia, peccato di offesa a Dio fino a non molto tempo fa considerata reato, o nel caso dell’adulterio femminile, punito anch’esso insieme all’aborto. Nel momento in cui la chiesa chiede allo Stato la soppressione dell’aborto, della ricerca sulle staminali embrionali, del testamento biologico, che cosa fa se non esigere che la
legge civile riconosca alla contravvenzione di questi precetti religiosi lo statuto di reato? Attenzione quindi alla recente posizione dei vertici della chiesa quando, dopo aver a lungo assegnato alla pedofilia e agli abusi sessuali degli ecclesiastici lo statuto di peccato, riservandosi giudizio, punizione ed eventuale perdono dei reprobi, cambiano strategia chiedendone il trattamento in quanto reati. La mossa è corretta in sè ma potrebbe preludere a un nuovo attacco per estendere la richiesta di sottoporre al diritto positivo altri aspetti della vita umana condannati dalla legge divina, ritrasformando i peccati in reati: ma se i reati sono peccati, come già diceva il buon vecchio Hobbes, non tutti i peccati sono reati...
© 2010 L'Unità. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments