Declino di Gordon, ragazzo di canonica

Dalla Rassegna stampa

E’ , sotto queste tetre arcate neogotiche che Gordon Brown ascoltava a capo chino i sermoni del padre John, socchiudendo l’occhio buono e quello spento; ed è qui, nella chiesa presbiteriana di San Brycedale, che si comprende appieno la statura del primo ministro britannico e la ragione della sua sconfitta.
Il figlio del prete scozzese è divenuto il cancelliere dello Scacchiere più longevo degli ultimi due secoli - neppure Lloyd George e Gladstone resistettero dieci anni consecutivi alla guida dell’Economia britannica - e il premier più disastroso: mai nessuno aveva portato il suo partito sotto il 30% (anche se stanotte Brown resta a Downing Street, nell’attesa che si definiscano le trattative e le eventuali alleanze).
Le sue qualità morali e intellettuali hanno le stesse radici dei limiti che l’hanno reso estraneo e impopolare agli elettori. Radici saldamente piantate qui a Kirkcaldy, il villaggio in riva al Mare del Nord che è tuttora il suo collegio elettorale, dov’è passato anche nell’ultima sera della campagna elettorale.
Qui si è formato: minatori, operai nelle due fabbriche di linoleum, e un padre ministro della chiesa presbiteriana, la più radicale nel condannare cattolici e anglicani, mediazioni e disuguaglianze. I successori del reverendo John Brown, Ken Fronde e la sua assistente Nanaj Gilmartin, ne parlano come di un santo. Nell’inverno del 1957, quando il piccolo Gordon aveva sei anni, onde gelide devastarono la città, e i senzatetto cercarono confor to in chiesa. Ha ricordato Brown che «per anni abbiamo ricevuto in media dodici telefonate al giorno. Tutta gente bisognosa di aiuto». Nei suoi sermoni - due ogni domenica: il figlio li seguiva entrambi -, il reverendo Brown citava non solo le Sacre Scritture ma anche i filosofi stoici e i poeti romantici: «Il Giudizio comincia e finisce dentro di noi. Alcuni vivono per compiacere se stessi e nessun altro, tranne Dio...».
Figlio di Ebenezer Brown, pastore di pecore, aveva sposato una ragazza ricca, Elizabeth, figlia di un impresario edile, e l’aveva portata a vivere con i tre figli nella canonica vicino alla chiesa. Il primo ministro è cresciuto qui, al numero 6 di East Fergus Place, in una casetta di pietre laviche con un piccolo roseto attorno alla porta bianca. «Per tutta la vita, Gordon Brown è rimasto il ragazzo della canonica», afferma orgogliosa la signora Gilmartin. La scuola era accanto a una delle due fabbriche di linoleum; il cappellano era suo papà. «Mio padre mi ha insegnato tante cose - ama ripetere Brown -. Il rigore morale, la severità con se stessi, l’attenzione ai poveri. Soprattutto, mi ha insegnato a trattare chiunque allo stesso modo; e questa cosa non l’ho mai dimenticata».
Questa cosa gli è quasi costata la campagna elettorale. Quando, la settimana scorsa, gli hanno fatto trovare un’anziana signora un po’ petulante, Gillian Duffy, anziché tirare dritto come avrebbe fatto qualsiasi politico, si è fermato mezz’ora a discutere con lei. Poi, al, microfono dimenticato acceso, si è lamentato con i collaboratori: «Dove l’avete presa, ‘sta fanatica?». Altri 39 minuti passati a chiederle scusa: più del tempo dell’ultimo incontro con Obama, più dell’udienza con la regina da cui uscì la data delle elezioni. Eppure tutti i giornali l’hanno impiccato a quella gaffe, enfatizzata dalle tv, moltiplicata da Internet.
Gli inglesi hanno reagito come se Brown avesse mancato di rispetto a ognuno di loro. Probabilmente avrebbe perso lo stesso; ma certo quel dettaglio è diventato il simbolo della distanza che separava gli elettori dal loro primo ministro, e che stanotte si è fatta evidente. L’occhio sinistro lo perse a sedici anni, dopo uno scontro in un partita di rugby, quando - ragazzo dall’intelligenza prodigiosa - frequentava già l’università di Edimburgo. Dopo non era andato neppure dal dottore. Solo quando cominciò a non vederci neanche dal destro, Brown si fece visitare: distacco di entrambe le retine. Quattro operazioni, sei mesi di immobilità in ospedale, nel buio più assoluto.
Al suo fianco, il padre, che gli leggeva il libro di Giobbe, citava i sermoni di James Maxton - predicatore presbiteriano, deputato laburista dal ‘22 al ‘46, teorico della «Terra Promessa del socialismo» - e confortava il figlio così: «I veri ciechi non sono coloro che non vedono i contorni delle cose, ma coloro che non vedono le cose davvero importanti». La malattia gli fortificò il carattere ma lo rese ostinato, e insofferente verso le ostinazioni altrui. Quando Gordon Brown uscì dalle tenebre, era, la primavera del 1968: si fece crescere i capelli e l’anno dopo si iscrisse al partito laburista. Il suo primo libro fu la biografia di James Maxton. Libri successivi: «Povertà e deprivazione in Scozia»; «Margaret Thatcher e il tradimento del futuro della Gran Bretagna».
In questi due anni di crisi, Brown si è trovato a suo agio. L’austerità, la serietà,l’atmosfera penitenziale gli si addicono. Per dieci anni aveva dato sostanza alla politica di Blair, anche lui scozzese ma di carattere allegro, anche lui studente a Edimburgo ma nell’esclusivo Fettes college, il castello tutte guglie che ha ispirato la Hogwarts di Harry Potter. La brillantezza di Tony diveniva frivolezza agli occhi di Gordon, che non lo amava e detestava - ricambiato - la moglie Cherie. Quando alla fine Brown si è liberato dei coniugi Blair, dopo una breve luna di miele con gli elettori è precipitato nei sondaggi, per risalire proprio durante la crisi. Ritornato, dopo il decennio liberale, il socialista che era stato, Brown ha nazionalizzato banche, salvato mutui e quadruplicato il deficit. Ora che la penitenza è passata e si intravede la ripresa, i beneficiati hanno detto nell’urna che di lui non ne vogliono più sapere.
Carattere impossibile, sempre in ritardo, iracondo, diffidente di tutti tranne che del consigliere Ed Balls - ministro della Scuola e rivale di David Miliband quando si aprirà la successione alla guida del partito -, Brown però è sempre piaciuto alle donne. Quella della sua vita è stata una principessa: Margherita di Bulgaria, una bellezza imparentata con gli Asburgo e gli Hohenzollern, sua compagna di corso a Edimburgo. Si incontrarono nel ‘69 e si lasciarono nel ‘79: stanca della sua ossessione per la politica, lei l’aveva portato per un week end in un cottage senza telefono; fu la lite definitiva. «Non ho mai smesso di amarlo», disse quando Brown divenne ministro-ombra dell’Economia. Da allora la sua riservatezza in amore è maniacale.
Con Sarah Macaulay si è sposato solo nel 2000, a 49 anni, dopo un lungo fidanzamento. La prima figlia, Jennifer, visse solo undici giorni: i funerali si fecero a Kirkcaldy, nella chiesa di famiglia. Il secondo figlio
si chiama ovviamente John. Qui il premier è tornato per i funerali della madre. Qui, dove tutti si dicono dispiaciuti della sua sconfitta, potrebbe tornare ora, se non riuscirà a restare a Downing Street con l’appoggio dei liberaldemocratici.
In tal caso, ha detto in campagna elettorale, si dedicherà a «opere di carità». Non vivrà nella canonica ma nella casa di mattoni rossi che si è comprato a North Queenferry, un villaggio vicino - campi d’orzo, prati brucati dai cavalli, una spiaggia che con la bassa marea si fa enorme e zitta, se non per il latrare di qualche cane -; finalmente consapevole che non soltanto il Giudizio comincia e finisce dentro di noi, ma anche la terra promessa del socialismo rischia di sopravvivere ormai solo nella sua mente.

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