Il declino della politica

Dalla Rassegna stampa

Abbiamo un problema. La politica è definitivamente scomparsa dalla scena pubblica nazionale, ovvero non si hanno più notizie di quella attività, vecchia come il mondo, che cerca di trarre il meglio dalle scarse risorse esistenti per il maggior numero possibile di persone della propria comunità. Organizzare il presente, inventare il futuro, predisporre i mezzi migliori per affrontare sia le contingenti sfide quotidiane sia per prospettare innovazioni e trasformazioni.

Di questo la politica si occupa, parlando ai cittadini mediante lo strumento di una sana e conflittuale competizione tra progetti spesso diversi che, almeno teoricamente, hanno origine da prospettive ideali e culturali alternative. Qualcuno può per caso affermare di essersi recentemente imbattuto in qualche dibattito delle forze politiche incentrato su tali competizioni? Esiste ancora qualche cittadino che, ad esempio, pensa di votare alle elezioni provinciali o regionali partendo dai temi di politica amministrativa? E’ lecito dubitarne. Il dibattito politico oggi è interamente incentrato sui meccanismi del potere, sulla vita privata dei personaggi, sugli scandali, sul rapporto tra le istituzioni, sulla moralità dei protagonisti, sul rispetto delle norme, sulla correttezza delle pratiche e dei comportamenti, cioè su tutto ciò che è presupposto della vita politica e che, in un sistema democratico, dovrebbe fare solo da sfondo al legittimo conflitto politico. Il fatto che invece di occuparci di lavoro, sanità, istruzione, commercio ci occupiamo di intercettazioni, abusi di potere, rapporti tra magistratura e governo, denunce, intimidazioni, rappresenta la prova che il sistema sta collassando: non si può parlare di politica perché i contendenti non sono d’accordo sulle premesse che regolano e informano il gioco politico.
L’anomalia berlusconiana - sia per chi la vede in positivo (cioè la figura che ha raccolto e rilanciato le ambizioni della destra) sia per chi la vede in negativo (l’affossatore del quadro della democrazia costituzionale) – non è più in grado di proporsi come discutibile ma oggettivo fattore di trasformazione della tradizione repubblicana. Il moltiplicarsi dei problemi, l’incapacità di prendere le distanze dagli errori del suo apparato, l’azione disinvolta e poco attenta alle forme della legalità (troppe le intromissioni, le telefonate, le dubbie frequentazioni anche per chi le giustifica con la teoria della difesa dai complotti e la risposta all’accerchiamento) fanno ormai di Berlusconi un freno per il centro-destra. Di più: il Cavaliere oggi è, anche a causa dei suoi problemi giudiziari, un ostaggio della parte più forte della sua coalizione di governo. Un eventuale ricambio al vertice, così come un “colpo di mano” interno, non è al momento all’orizzonte, non solo per la mancanza di alternative ma soprattutto perché questa situazione sta avvantaggiando la Lega che dalle disgrazie del Presidente del Consiglio riceve nutrimento elettorale. 
Per Bossi, un Berlusconi in difficoltà rappresenta una sorta di rendita di posizione perché garantisce il lento ma costante travaso di voti verso la Lega, partito lontano dagli scandali e dotato di una visibile e autonoma posizione politico-ideale. Eliminate le manifestazioni più folkloristiche, la Lega si appresta a diventare il riferimento degli orfani della componente più populistica e radicale del centro-destra e dunque a raccogliere l’eredità politica dell’attuale governo.
Ciò non significa che l’uscita di scena di Berlusconi sia imminente, al contrario ci saranno dure resistenze, con non pochi colpi di scena, per non perdere lo scettro. Tuttavia è giunta l’ora che la classe politica che fa riferimento al PdL si assuma la responsabilità di avviare un progetto di transizione se non vuole rimanere subalterna all’azione del Senatur, il quale, una volta “licenziato” Berlusconi, non saprà che farsene di un gruppo dirigente attraversato da scandali e polemiche e incapace di proporre un progetto politico diverso da quello della piatta fedeltà al capo.
 
 

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