Decideranno gli elettori

Dalla Rassegna stampa

Si è aperto in questi giorni in contemporanea al meeting di Cernobbio un confuso dibattito sull’eventualità di ricorrere a un governo Monti bis dopo le elezioni. L’ipotesi ha fatto leva anche sull’apprezzamento dell’operato dell’esecutivo espresso dagli imprenditori presenti al convegno. Detto che la nostra Costituzione non assegna ancora alle riunioni delle grandi élite italiane il potere di indicare il capo di un governo per di più post elettorale, sostenere oggi il Monti bis è un errore. Nell’immediato non ci aiuta nel cammino di risanamento/riforma intrapreso e soprattutto introduce un elemento di ambiguità nel rapporto tra istituzioni e Paese reale. Non è un caso del resto, come ha ricordato ieri lo stesso Mario Monti, che l’Italia sia l’unico Paese tra i 27 della Ue amministrato da un esecutivo di tecnocrati mentre tutti gli altri sono guidati da governi espressione di una reale competizione elettorale. Una parte di coloro che sostengono l’idea del Monti bis è animata dalla sincera volontà di segnare la continuità, di rassicurare Bruxelles, Berlino e i mercati che il cammino avviato dal governo tecnico non sarà interrotto. Ma la sacrosanta esigenza di rispettare le compatibilità europee e di imporci all’attenzione come un Paese coerente, giustamente sostenuta su questo giornale da Sergio Romano e Francesco Giavazzi, non vale il rischio di aprire una frattura nella tradizione democratica italiana. «Non posso credere che un Paese non sia in grado di esprimere un leader politico capace di governarlo» ha commentato Monti. E se fosse il contrario sarebbe grave, perché segnalerebbe non solo l’anomalia del sistema politico ma l’incapacità di una più larga comunità nazionale di selezionare la classe dirigente e prendersi cura dei propri problemi. Se da anni ci battiamo per abolire il Porcellum non possiamo poi pensare di adottare un modello di rappresentanza in cui il voto diventa un mero sondaggio di popolarità, tanto già si sa chi siederà nella stanza dei bottoni. Decideranno gli elettori - che, non va dimenticato, hanno votato tutti i provvedimenti di Monti - di non fare scherzi e non cedere alla demagogia di promettere in campagna elettorale quello che una volta al governo non potranno mai mantenere. Esigiamo da loro che riformino la legge elettorale e approvino le norme anticorruzione. Spingiamoli pure ad organizzare al proprio interno competizioni primarie per la scelta dei candidati. Facciamo tutto questo con la giusta tensione civile ma giuriamoci anche di rispettare l’esito delle urne quale esso sia. Il governo tecnico è stata un’eccezione, speriamo felice, ma deve rimanere tale, non può diventare la regola. I tecnici vengono chiamati alla guida nei momenti di massima emergenza, sono come dei medici dotati di grande competenza e serietà. Un Paese però non può consumare tutti i suoi giorni in ospedale, ha bisogno di ricominciare a pensare a lungo termine. Tutto ciò nel linguaggio delle democrazie moderne prevede che gli schieramenti si affrontino con programmi e ricette alternative tra loro, che i cittadini esprimano la loro preferenza e i vincitori siano chiamati a governare. Sarebbe singolare che, mentre esaltiamo le più moderne forme di partecipazione che la tecnologia ci ha regalato, alla fine congelassimo quella su cui è fondato il nostro patto di civiltà.] Si è aperto in questi giorni in contemporanea al meeting di Cernobbio un confuso dibattito sull'eventualità di ricorrere a un governo Monti bis dopo le elezioni. L'ipotesi ha fatto leva anche sull'apprezzamento dell'operato dell'esecutivo espresso dagli imprenditori presenti al convegno. Detto che la nostra Costituzione non assegna ancora alle riunioni delle grandi élite italiane il potere di indicare il capo di un governo per di più post elettorale, sostenere oggi il Monti bis è un errore. Nell'immediato non ci aiuta nel cammino di risanamento/riforma intrapreso e soprattutto introduce un elemento di ambiguità nel rapporto tra istituzioni e Paese reale. Non è un caso del resto, come ha ricordato ieri lo stesso Mario Monti, che l'Italia sia l'unico Paese tra i 27 della Ue amministrato da un esecutivo di tecnocrati mentre tutti gli altri sono guidati da governi espressione di una reale competizione elettorale.

Una parte di coloro che sostengono l'idea del Monti bis è animata dalla sincera volontà di segnare la continuità, di rassicurare Bruxelles, Berlino e i mercati che il cammino avviato dal governo tecnico non sarà interrotto. Ma la sacrosanta esigenza di rispettare le compatibilità europee e di imporci all'attenzione come un Paese coerente, giustamente sostenuta su questo giornale da Sergio Romano e Francesco Giavazzi, non vale il rischio di aprire una frattura nella tradizione democratica italiana. «Non posso credere che un Paese non sia in grado di esprimere un leader politico capace di governarlo» ha commentato Monti. E se fosse il contrario sarebbe grave, perché segnalerebbe non solo l'anomalia del sistema politico ma l'incapacità di una più larga comunità nazionale di selezionare la classe dirigente e prendersi cura dei propri problemi. Se da anni ci battiamo per abolire il Porcellum non possiamo poi pensare di adottare un modello di rappresentanza in cui il voto diventa un mero sondaggio di popolarità, tanto già si sa chi siederà nella stanza dei bottoni.

Decideranno gli elettori - che, non va dimenticato, hanno votato tutti i provvedimenti di Monti - di non fare scherzi e non cedere alla demagogia di promettere in campagna elettorale quello che una volta al governo non potranno mai mantenere. Esigiamo da loro che riformino la legge elettorale e approvino le norme anticorruzione. Spingiamoli pure ad organizzare al proprio interno competizioni primarie per la scelta dei candidati. Facciamo tutto questo con la giusta tensione civile ma giuriamoci anche di rispettare l'esito delle urne quale esso sia. Il governo tecnico è stata un'eccezione, speriamo felice, ma deve rimanere tale, non può diventare la regola.
I tecnici vengono chiamati alla guida nei momenti di massima emergenza, sono come dei medici dotati di grande competenza e serietà. Un Paese però non può consumare tutti i suoi giorni in ospedale, ha bisogno di ricominciare a pensare a lungo termine. Tutto ciò nel linguaggio delle democrazie moderne prevede che gli schieramenti si affrontino con programmi e ricette alternative tra loro, che i cittadini esprimano la loro preferenza e i vincitori siano chiamati a governare. Sarebbe singolare che, mentre esaltiamo le più moderne forme di partecipazione che la tecnologia ci ha regalato, alla fine congelassimo quella su cui è fondato il nostro patto di civiltà.

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