D'Avanzo e il motto del rugby

Non avevo mai letto un articolo di Giuseppe D'Avanzo sul rugby, di cui era grande appassionato. L'ho sentito leggere ieri al funerale laico di Peppe da Bruno Arpaia, uno scrittore suo amico. Quell'articolo mi è servito a capire una cosa in più. Non quanto fosse bravo D'Avanzo a scrivere, perché lo sapevo già. Nemmeno che lo sport sia una metafora della vita, perché questo è quasi un luogo comune.
L'elogio che D'Avanzo fa del rugby in quell'articolo è in realtà una affilata disamina dei nostri vizi nazionali. Uno sport che ha poche e semplici regole, infrangere le quali ha poco senso. Non c'è spazio per la furbizia né per estenuanti contestazioni e recriminazioni, anche perché la forza dello scontro fisico è ammessa e regolamentata al minimo indispensabile. Non c'è spazio per la furbizia e il dolo ma solo per la lealtà. Non c'è spazio per il funambolo ma solo per la squadra. Non ci si salva con un colpo di genio o di fortuna ma solo con l'organizzazione e l'altruismo. Insomma i valori del rugby sono l'esatto contrario di come si vive da noi la politica e non solo essa. Siamo un paese malato di calcio e di moviola. Ascoltavo quell'articolo e pensavo quante volte, anche molto recentemente, sui giornali vicini al governo si sia tessuto l'elogio di Berlusconi proprio come l'uomo che ha saputo portare in politica lo spirito, anzi il sogno del calcio. E pensavo che c'entrano fino a un certo punto le leggi ad personam o il "giustizialismo ", il partito di plastica o il giornale partito. Aiuta molto più il motto del rugby: «Gioca e sii uomo». Che è poi quello che ha fatto D'Avanzo, finché il suo cuore ha retto.
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