Dalla parte di un elettore

Dalla Rassegna stampa

 

Con la verifica parlamentare del 29 settembre il governo cadrà oppure sopravviverà senza che gli italiani che non siano addetti ai lavori abbiano avuto la possibilità di capire le autentiche ragioni della crisi politica in atto. E' difficile che gli elettori del centrodestra, questione di case a parte, abbiano davvero compreso quali siano i motivi della rottura fra Berlusconi e Fini. Così come, d'altra parte, è improbabile che gli elettori del centrosinistra siano stati in grado di spiegarsi i perché dello scontro (poi provvisoriamente rientrato) fra Veltroni e Bersani.
Nei primi anni Settanta, ai tempi della Dc, la politica italiana era giudicata incomprensibile dall'allora segretario di Stato americano Henry Kissinger. Lo era anche per tanti italiani. E le cose non sono molto cambiate. Perché la politica italiana è così poco trasparente per gli elettori? Perché, in democrazia, il grado di trasparenza, di comprensibilità della politica, è inversamente proporzionale al numero di fazioni presenti nell'arena. Nei casi (storicamente rari) dei sistemi bipartitici, la politica è una attività relativamente trasparente: ci sono due sole fazioni in gara per la conquista del governo e gli elettori sanno, almeno per grandi linee, che cosa comporti la vittoria dell'una o dell'altra.
Nei sistemi multipartitici, per contro, la politica è un gioco più complicato, più difficile da decifrare. Ma ci sono gradazioni. Più il sistema multipartitico è frammentato (più alto è il numero di fazioni) meno ci si capisce. Sul numero delle fazioni incidono molte cose ma la più importante è il sistema costituzionale. Molto dipende dal grado di dispersione o di concentrazione del potere che le istituzioni democratiche favoriscono. Dove il potere è più concentrato (nelle mani di un premier come in Gran Bretagna o di un Presidente come in Francia) e il governo è il vero «comitato direttivo» del Parlamento, la frammentazione è contenuta. In questo caso, non c'è solo più efficienza nell'azione dell'esecutivo, c'è anche maggiore capacità degli elettori, di comprendere cosa stia bollendo nella pentola della politica. Il nostro è sempre stato un sistema democratico con tante fazioni e tanti poteri di veto sulle azioni dei governi. A causa delle circostanze storiche in cui esso nacque, perfettamente rispecchiate in un testo costituzionale che non contiene antidoti contro la frammentazione. Quando, nei primi anni Novanta, crollò il sistema partitico sorto con le elezioni del '48, si aprì una finestra di opportunità: iniziarono gli sforzi per passare da un sistema politico ad alta diffusione del potere ad un altro ove il potere fosse più concentrato.
Il cambiamento della legge elettorale, l'adozione di un sistema maggioritario imperfetto, fu il primo passo in quella direzione. Il secondo passo fu la scelta dell'elezione diretta di sindaci e presidenti di regione e di provincia. Poi il cammino si interruppe. Non ci fu mai quella riforma della Costituzione che avrebbe dovuto coronare e stabilizzare per sempre il passaggio da un sistema democratico frammentato, con poteri dispersi, ad uno più coeso. L'ingresso in politica di Silvio Berlusconi diede ad alcuni la speranza, e ad altri il timore, che quella concentrazione del potere che era impossibile attraverso una revisione costituzionale lo fosse per via politica. Berlusconi, dividendo il Paese in due, e utilizzando risorse extra istituzionali (carisma, ricchezza personale, televisioni), diede la falsa impressione che un processo irreversibile di ricomposizione fosse in atto. Ma era solo apparenza, un'illusione. Che si dissolverà del tutto quando Berlusconi uscirà di scena. La frammentazione non è scomparsa e, con essa, e grazie ad essa, nemmeno la scarsa comprensibilità della politica italiana.
D'altra parte, la dispersione del potere avvantaggia molti. Dove esistono tante fazioni e tanti poteri di veto, ogni detentore di rendite piccole o grandi sa di essere più protetto contro l'azione del governo. C'è sempre qualcuno, qualche fazione, a cui ci si può rivolgere per bloccare decisioni sgradite. La frammentazione rende la politica debole, tutela e garantisce lo status quo, rende difficili i cambiamenti che potrebbero fare bene al Paese ma male a certi interessi costituiti. Chi preferisce, e in questo Paese sono in tanti, un'eccessiva dispersione del potere, attribuendole virtù che non possiede, scambiandola per la variante italiana del meccanismo democratico dei pesi e contrappesi, ha il diritto di farlo. Ma non ha il diritto di lamentarsi se poi la politica risulta incomprensibile.

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