Dalla Libia il Pd affonda l'election day

E alla fine siamo al «caos più totale», definizione realistica del senatore Pd Stefano Ceccanti. Sulla legge elettorale un'altra giornata finisce in farsa. La seduta in commissione Affari costituzionali, a Palazzo Madama, si apre con uno spettro che aleggia dal mattino: una nuova proposta targata Pdl. Esce dalla testa di Gaetano Quagliadello, in combine con gli strateghi di via dell'Umiltà. La nuova formula conferma la soglia del 40 per cento per un premio di maggioranza; ma se nessuno raggiunge la soglia, scatta un premietto, a partire dal 25 per cento fino al 39,9, fisso, di 50 seggi uguale per tutti. Ma non c'è da sprecare tempo per provare a capirla. E talmente pasticciata che alla fine neanche lo stesso Quagliariello la presenta.
Il Pd comunque alza le barricate. Dalla Libia Bersani lancia un paio di missili. Il primo: «Non sappiamo quali siano le intenzioni politiche del Pdl a proposito della legge elettorale. Ci facessero la cortesia di dircelo». Il secondo, quello definitivo, è la sfida sull'election day il 10 febbraio, giorno del voto nel Lazio: se non ci fosse, Berlusconi sarebbe pronto ad aprire la crisi di governo. «Il Pdl cosa vuole, che si anticipi il voto delle politiche a quella data? Lo dica chiaramente. Noi non siamo di questa opinione», scandisce Bersani.
La posizione è scontata: da sempre il Pd chiede il voto immediato nel Lazio, sicuro che la vittoria (data per certa) farebbe da volano al successo nazionale. Ma il Pdl va in confusione. «Bersani dalla Libia dice no all'election day, Berlusconi da Roma dica sì alla caduta del governo», aizza via twitter Daniela Santanché. Non ce n'è bisogno: Berlusconi fa filtrare la sua determinazione «ad andare fino in fondo». Per lui il porcellum è questione di vita o di morte, ormai: l'ultima arma che gli resta per tenere in pugno i parlamentari. Oggi ha convocato un vertice a pranzo o nel primo pomerio a Palazzo Grazioli, e all'ordine del giorno è l'ennesimo colpo di mano del cavaliere. Il governo dovrebbe affrontare il dossier election day nella riunione di giovedì.
Intanto sulla legge elettorale «siamo di nuovo sulle sabbie mobili. Ogni accordo raggiunto viene smentito il giorno dopo da un'ulteriore proposta che peggiora quella precedente», dice Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd, «ma la colpa della rottura sulla trattativa non è neanche del Pdl al Senato», ammette. «È di Berlusconi e della confusione che regna nel suo partito».
Nel pomeriggio dunque la seduta della commissione finisce in niente. Anche l'indistruttibile Calderoli, che presenta l'emendamento sull'electron day, finisce impallinato da un peone pidiellino, Gabriele Boscetto. Il leghista abbandona sbottando: «Evidentemente Berlusconi e Alfano non contano più nulla... I pagliacci stanno al circo equestre». Nel Pdl, spiega Ceccanti è « guerra fra bande», ogni banda rema per una legge diversa: e un candidato premier diverso. Perché lo sbando Pd1 è quello del suo presidente, che non ha ancora deciso se tornare in campo (lui fa sapere di sì) né se fare le prima- rie (Alfano giura di sì).
Il radicale Maurizio Turco, che tifa perché la legge non si faccia - in obbedienza alle raccomandazioni della Consiglio d'Europa e delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'Uomo - attacca: «Per mantenersi vivo, il regime esige di evitare come la peste la riforma rivoluzionaria del recepimento dell'art.49 sulla democrazia interna ai partiti e di seminare incertezza elettorale». E «che c'è di meglio di mantenere lo status quo facendo la napoletana ammuina?»
Anche la Lega si fa sentire. Magoni annuncia che «ad oggi la Lega corre sola». È finalmente finita la disperata ricerca di una legge elettorale che garantisca al Pdl una sconfitta non troppo dolorosa e all'Udc un governo di larghe intese? Il presidente della commissione Carlo Vizzini dice che «c'è ancora un labilissimo filo di dialogo». La partita in teoria si trasferisce oggi in aula. In pratica però c'è il decreto sviluppo. La riunione dei senatori del Pdl, a notte, finisce con il proposito di riaprire il dialogo con il Pd, contro i desiderata del capo. Tanto c'è il vertice di oggi c'è ancora tempo per cambiare di nuovo idea.
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