D'Alema in Medio Oriente. «Hamas? Giusto parlarci»

Dalla Rassegna stampa

Parlare con Hamas? «Inevitabilmente. Non perché io abbia una particolare simpatia, ma perché non parlarci non mi pare la scelta più brillante. Rimuovere questo movimento con un esorcismo, mi sembra strampalato. C'è un indebolimento delle dirigenze moderate, anche fra i palestinesi prima o poi arriverà la primavera araba. Hamas non è più un movimento isolato: avrete notato che Tunisi il nuovo governo ha invitato Khaled Meshaal, non Abu Mazen...».

Che il rospo vada baciato, Massimo D'Alema lo dice da anni. «Quindici», precisa lui. Ma ogni suo tour mediorientale fa notizia, che sia la foto sottobraccio a un hezbollah o vi arrivi da presidente della Fep, Federazione europea per gli studi progressisti. Stavolta l'ex ministro degli Esteri incontra tutti i capi palestinesi moderati. Vede un Fayyad depresso, un Erekat frustrato, un Mustafa Barghouti preoccupato e, accomodato sui divani dell'ambasciatore Mattiolo, dice di non avere cambiato idea. Gli chiedono se dovrebbe cambiarla l'Unione Europea che, dal 2003, tiene Hamas sulla lista nera del terrorismo: «Non lo so... Noi europei abbiamo rapporti con le nuove leadership tunisina ed egiziana e credo che vogliamo mantenerli. Queste leadership, a loro volta, hanno rapporti d'amicizia e collaborazione con Hamas. Questo è un dato dì realtà. L'Europa dovrebbe aggiornare le sue strategie in quest'area. Ho letto che anche la Ashton sostiene che bisogna parlare coi movimenti islamisti. Capisco la delicatezza del tema, ma prima o poi s'imporrà una riflessione». Sono parole che non piacciono a Barak e a Tzipi Livni, leader israeliani incontrati. E forse garbano poco alla Farnesina di Giulio Terzi, che su questi divani sedeva da ambasciatore durante la seconda intifada e, sui movimenti flloiraniani, ha posizioni diverse. «Israele - dice D'Alema - da un lato dice che con Hamas non si tratta, ma dall'altro ci parla. Il risultato, così, è che i palestinesi moderati del Fatah non ottengono nulla, mentre Hamas rapisce il soldato Shalit e ottiene la liberazione di centinaia di prigionieri. Se poi gli estremisti vinceranno al voto palestinese, quando ci sarà, nessuno si deve sorprendere. È molto più pro Hamas chi non dà una mano a dirigenti aperti alla pace come Fayyad». C'è spazio anche per qualche parola sull'Iran («un attacco militare sarebbe disastroso») e sulla Siria (il veto russo-cinese all'Onu è «una scelta grave»). Il giro prosegue al Cairo: «Avrò una bella agenda», strette di mano alla Lega Araba e ai nuovi padroni dell'Egitto. Compresa la guida spirituale dei Fratelli musulmani: «Sono qui per una fondazione culturale: m'interessa capire che cosa pensano».

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