D'Alema butta l'esca il Pdl vede la trappola Ma tedesco divide il Pd

Dalla Rassegna stampa

 

Per Silvio Berlusconi la grande paura era alle spalle. E con essa il sospetto che «sulla riforma elettorale» potessero «saldarsi gli interessi della Lega con quelli di Fini, Casini e di una parte del Pd». Più o meno lo spettro del '94, quello del grande tradimento del Carroccio. Che, questa volta, gli sarebbe stato servito insieme al dibattito sull'accantonamento del porcellum.
Ma il colloquio di Massimo D'Alema con Repubblica ha riacceso tra i berluscones della cerchia ristretta la fiammella del sospetto. Perché l'ex premier l'ha detto senza troppi giri di parole. Che «questa legge fa comodo solo a Berlusconi». Che bisogna fare la riforma elettorale «e poi andare a votare». E, soprattutto, che col proporzionale alla tedesca si potrebbe «convogliare un campo di forze, dall'Udc alla Lega». Il tutto funzionale (anche) al varo del Nuovo Ulivo tanto caro a Bersani quanto osteggiato da un Veltroni (che, ha scandito D'Alema, con la sua lettera al Corriere ha «dato una mano» al Cavaliere). Lo schema, in fondo, è tanto facile da capire quanto difficile da realizzare. In fondo, basta che il governo Berlusconi entri in crisi e che il Carroccio, invece che andare alle urne col porcellum al fianco di Silvio, decida di puntare al bersaglio grosso. Come? Agevolando la nascita di un esecutivo creato ad hoc per la riforma elettorale tedesca, giocando quindi la partita delle elezioni politiche in propri o e tentando l'opa su una fetta consistente del bacino elettorale del Pdl al Nord. Fantapolitica, almeno per adesso. Soprattutto tenuto conto che dentro il Pd il dibattito sulla legge elettorale - come dimostra il fior fiore dei veltroniani che hanno sottoscritto l'appello pro uninominale dei Radicali - ha riaperto lo scontro sulla ragione sociale stessa del partito.
Eppure, tra i fedelissimi del Cavaliere, più d'uno ha visto scattare il trappolone. Basta guardare alla reazione stizzita con cui Fabrizio Cicchitto ha replicato a D'Alema. «E evidente che lui cerca di surrogare con la manovra politica e con la modifica della legge elettorale la debolezza del Partito democratico», ha scandito il capogruppo del Pdl alla Camera. «A meno che il centrodestra», ha sibillinamente aggiunto, «non decida di offrire un soccorso azzurro alle debolezze della sinistra». Una voce dal seri fuggita che dimostra come, a Palazzo Grazioli e dintorni, lo spettro fuoco amico non sia ancora stato accantonato.
Cicchitto si è augurato che «da un lato la saggezza e dall'altro le sollecitazioni del popolo di centrodestra prevalgano». Ma la richiesta berlusconiana che la Lega prendesse le distanze da D'Alema aveva prodotto, fino al tardo pomeriggio, soltanto un inciso del governatore piemontese Roberto Cota. Delle serie, ‹da legge elettorale attuale ha prodotto semplicità e stabilità». Ergo, «non va cambiata».
A rendere impraticabile ogni terreno di confronto sull'immediato post-Silvio e sulla riforma elettorale, almeno per adesso, sono le divisioni interne al Pd. L'ultima presa di posizione di D'Alema, infatti, ha provocato il solito smottamento che avviene tra le mura democratiche non appena il dossier torna di moda. Alla contrarietà di Veltroni e dei veltroniani s'è aggiunta quella di Rosy Bindi. «È vero, come sostiene D'Alema, che l'attuale bipolarismo è malato. Ma - ha aggiunto il presidente dell'Assemblea del Pd non possiamo tornare alla politica delle mani libere» della Prima repubblica. «La legge elettorale va rifatta e secondo me un buon modello è il doppio turno alla francese», è il refrain riscoperto da Dario Franceschini.
L'ultima mediazione interna l'ha trovata Bersani. La legge elettorale non è un problema del Pd perché rientra nel campo delle «regole» e quindi va fatta «con chi ci sta». Come? Il segretario pensa che un sistema «sostanzialmente» bipolare ma «flessibile» può venire fuori «da una correzione del modello tedesco o da una correzione del Mattarellum». Nessuna delle due, per il momento, s'intravede all'orizzonte. Anche perché le divisioni interne sul futuro prossimo del Pd continuano a essere un tappo. Non a caso, agli avversari interni, il leader l'ha mandato a dire ancora ieri, durante una videochat con Repubblica: «Il Nuovo Ulivo non è un'ammucchiata. La Grande alleanza è il superamento dell'Unione».

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