Da Taranto a Trieste, uniti contro i veleni

Due quartieri uniti dalla stessa minaccia. Due città che combattono un nemico invisibile. Ma spietato. Taranto e Trieste sono tornate ieri a urlare il loro indignato no al cosiddetto decreto Salva Ilva, la risoluzione sulla normativa relativa al benzo(a)pirene approvata lunedì dalla commissione ambiente che di fatto rimuove la norma che a partire del 1999 proibiva il superamento di un nanogrammo a metro cubo.
Il governo, inoltre, con un decreto, ha prorogato al 2013 le norme a tutela della salute degli abitanti delle città con più di 150 mila abitanti. In un dossier, presentato anche in commissione infanzia, l’associazione Peacelink è tornata a denunciare la pericolosità del benzo(a)pirene, «potente cancerogeno si legge nel dossier - che viene svicolato nei polmoni dalle polveri sottili e che è originato dalle combustioni delle indusrie e delle auto. Si tratta - continua il dossier - di una sostanza genotossica: può modificare il Dna trasmesso dai genitori ai figli».
Sotto accusa le emissioni delle cokerie dell’Ilva di Taranto, che avvelena il quartiere Tamburi, e della Ferriera Zucchini Severstal nel quartiere Servola a Trieste.
Secondo la relazione dell’Arpa Puglia dello scorso 4 giugno. «le emissioni in aria di Ipa e BaP sono attribuibili in modo preponderante, per più di un ordine di grandezza. Allo stabilimento siderurgico Ilva e in particolare alla cokeria». Non meno grave la situazione a Trieste, dove il valore medio registrato tra gennaio e luglio 2010 è di 9,8 nanogranrmi per metro cubo di aria. Valori altissimi ma che, con la nuova norma, non sono fuori legge. Quella del governo è stata «una scelta irresponsabile», hanno dichiarato Elisabetta Zamparutti, deputata Radicale, e Alessandro Bratti, deputato del PD, copromotori della risoluzione per il ripristino della normativa precedente sul benzo(a) pirene.
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