Da sabato scorso il Pd non e più un partito di sinistra

Dalla Rassegna stampa

Un partito deve saper ascoltare, non è necessario che partecipi a una manifestazione. Questa l'opinione espressa da Massimo D'Alema e, evidentemente, condivisa da Pier Luigi Bersani, per spiegare l'assenza del Pd (in quanto partito) alla manifestazione della Fiom. Sarebbe facile obiettare che si ascolta meglio, molto meglio, e si capisce di più se le persone si guardano in faccia e, magari, si condivide con loro un percorso. Ma sarebbe una battuta. Vera, ma pur sempre una battuta.
Vale invece la pena capire e andare a fondo alla decisione e al comportamento del Pd. Da molti è stato approvato e anche lodato in base a una concezione finalmente "liberale" del rapporto fra partito e sindacato. E questa approvazione c'è stata non solo nel Pd, preoccupato e desideroso di evitare una spaccatura con i cattolici legati alla Cisl, ma anche fra gli opinionisti e fra i politici di altri partiti. Credo che l'atteggiamento del Pd nei confronti della manifestazione della Fiom non indichi semplicemente il rafforzamento di una concezione liberale, ma un salto nel rapporto fra un partito di sinistra e il sindacato così come esso si è delineato nella storia europea e non solo europea. Chi la conosce, anche poco, sa che questo è stato un rapporto sempre molto importante, nel quale i due protagonisti - partiti della sinistra e sindacati - hanno avuto di volta in volta un ruolo diverso. Agli inizi - parliamo di gran parte del '900 - il sindacato era considerato la cinghia di trasmissione alle masse operaie e popolari della linea politica dei partiti comunisti e socialisti. Esecutore sensibile e intelligente, ma ligio alla linea. I dirigenti del sindacato erano anche, e nello stesso tempo, dirigenti del partito.
Dagli anni 70 in poi questo rapporto è mutato. Il sindacato ha conquistato una sua autonomia e questa si è spinta fino a configurare un nuovo soggetto politico, capace cioè di proporre modelli di cambiamento non solo per i lavoratori, ma perla società. Poi c'è stata la globalizzazione e la caduta del muro di Berlino, la crisi dei sindacati e dei di socialisti e socialdemocratici. Ma in quella crisi, che ha travolto tutto e tutti, un filo è rimasto saldo.
Il filo che legava i partiti di sinistra al sindacato. L'appartenenza comune al movimento operaio. La consapevolezza da parte dei partiti di sinistra di rappresentare o di voler rappresentare a livello politico bisogni e interessi dei lavoratori. Un filo che resiste ancora oggi e che non è un nostalgico retaggio del '900 né per il Labour inglese, né per la Spd tedesca. Che è forte persino in paesi con una tradizione culturale più simile all'Italia come la Francia e la Spagna. E fortissimo (ci riflettano gli "americani" di casa nostra) fra i sindacati statunitensi e il partito democratico. Perché ci sia quel filo ci deve essere un soggetto, un partito che ne tiene una estremità. Fuori di metafora che concepisca se stesso come parte del movimento operaio con un legame stretto e imprescindibile con i sindacati.
Ora quel legame si ritiene evidentemente inutile, o controproducente, o impraticabile. E si è in parte rotto, non partecipando alla manifestazione della Fiom. Ma dovrebbe essere chiaro che, in questo modo, il Partito democratico cambia natura. Non più un partito di sinistra - riformista, moderato, con inclinazioni centriste - ma un partito di centro, che, quindi, non ha un rapporto privilegiato con i lavoratori, non si considera parte del movimento operaio ed esce - di conseguenza - dalla grande famiglia dei partiti socialisti e socialdemocratici europei. Un partito di centro i cui iscritti, elettori, militanti e simpatizzanti vanno alle manifestazioni sindacali, come può andarci - e ci va - un elettore della Lega. Cene erano sabato in piazza e una parte di loro, come si sa, è tradizionalmente iscritta alla Fiom.
Il cambiamento indicato sabato scorso con la mancata partecipazione del Pd alla manifestazione della Fiom non è quindi di poco conto. Non può essere interpretato superficialmente come una allargamento liberale della concezione del partito. Né può essere giustificato da una non condivisione degli obiettivi della Fiom. Le critiche, anche aspre e dure, alla organizzazione guidata da Maurizio Landini potevano essere utili. Potevano mettere in guardia, ad esempio, contro un eccesso di orgoglio, un sentimento eroico, presente nella piazza e non sempre utile per vincere una battaglia sociale e politica dura come quella che sta conducendo la Fiom. Ma di critiche non ce ne sono state.
Quel cambiamento, quella mancata partecipazione, segnala, inequivocabilmente, un vuoto. Un vuoto a sinistra. Ora in politica - si sa - i vuoti si riempiono presto e quasi automaticamente. Ci chiediamo quanto sia stato conveniente per il Pd nel momento in cui ci dirigiamo a passi rapidi alle elezioni aprire sotto di sé quel vuoto che può diventare un baratro. Ce lo chiediamo sinceramente.
 
P.S. Mi ha colpito il fatto che Emma Bonino, dirigente radicale e dipartito di grande coerenza, abbia approvato la scelta di Bersani secondo cui a un manifestazione ciascuno è libero di andare o non andare e non esiste una linea del partito Mi sono chiesta: che cosa avrebbe detto Emma se si fosse trattato ad esempio di una manifestazione a sostegno della legge 194, o su uno dei tanti temi etici che dividono laici e cattolici all'interno del Pd? Anche in questo caso avrebbe approvato una linea di disimpegno del partito? Credo che avrebbe attaccato e duramente. E, a mio parere, anche giustamente.

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