Da Forza Italia al Pd, quanto è trasversale la lobby degli F35

Dalla Rassegna stampa

In principio erano 131 fino al 2026, non uno di meno, con una spesa prevista di 16,6 miliardi di dollari. Poi sono diventati 90, non uno di meno, e la spesa raggiunse quota 18 miliardi. Benvenuti nel mondo degli F35.- cacciabombardieri prodotto del colosso statunitense Lockheed Martin, che sviluppa il velivolo con i partner Northrop Grumman e Bae System – che l'Italia ha acquistato per sostituire tre modelli di aereo militare: i Tornado, gli AM-X e gli Av8B della Marina. Dove si nascondono interessi economici, che portano dritti dritti a lobby di tipo finanziario, territoriale e oltreoceaniche. Oggi, dal premier Matteo Renzi al ministro Roberta Pinotti tutti sono pronti a metterne in discussione il numero: un po' perché lo chiede il commissario alla spending review Carlo Cottarelli – il quale ha previsto tagli alla Difesa per 4,3 miliardi da raccogliere entro il 2016 -, un po’ perché è necessario trovare fondi per far respirare un Paese stremato dalla crisi economica.

Salvo poi accantonare e rinviare la questione a data da destinarsi, come è successo qualche giorno fa in commissione Difesa a Montecitorio sull'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma.Nel corso degli anni un fronte trasversale di ministri, sottosegretari, parlamentari, ha portato avanti il programma di sviluppo e costruzione “Joint Strike Fighter”(Jsf) con l'obiettivo di costruire l'aereo da combattimento cosiddetto di “quinta generazione”, l'F35. Un progetto con a capo gli Stati Uniti in collaborazione con Regno Unito, Italia, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Australia, Turchia, Singapore e Israele. E a cui l'Italia, invece, ha aderito come partner di secondo livello (con una partecipazione intorno al 5 per cento).Tuttavia per comprendere i poteri e gli interessi che si celano dietro l'affaire F-35 bisogna fare un passo indietro. E riavvolgere il nastro.

La storia parte, infatti, da lontano. Il nostro Paese aderisce al progetto nel 1996, quando, con l'allora ministro della Difesa Beniamino Andreatta, si associò alla proposta americana per la realizzazione di un nuovo velivolo multiruolo. Siamo ancora in una fase di studio: si comincia, semplicemente, ad entrare nel merito della proposta, e si redige un primo studio di fattibilità in commissione Difesa. Nel 1998 avviene il cambio di passo. Massimo D'Alema, a quel tempo presidente del Consiglio, riconferma la nostra partecipazione al programma Jsf. Infatti, il 23 dicembre del 1998, viene firmato dal premier in carica il primo protocollo (“Memorandum of Agreement”) con un primo investimento di 10 milioni di dollari. La decisione definitiva di partecipare al progetto arriva nel 2007, durante il secondo governo Prodi (ministro della Difesa era Arturo Parisi), quando è stata richiesta la firma definitiva dell'accordo per partecipare alla Fase 2, ovvero alla fase di costruzione del velivolo, che avrebbe impegnato l'Italia economicamente fino al 2046. E in finanziaria il governo destina 139 milioni di euro, prima tranche di un esborso totale ancora da definire.

Negli anni del secondo governo Berlusconi, 2001-2006, il sottosegretario alla Difesa Salvatore Cicu, palermitano ed esperto del settore Difesa, è l'uomo dell'esecutivo che si occupa del progetto F-35. «Martino (a quel tempo ministro della Difesa) si sfilò anzitempo – spiegano chiedendo l'anonimato a pagina99 - e lasciò in mano a Cicu il business F-35. Teneva lui i contatti con lobbisti americani e con le aziende italiane coinvolte». Su tutte Finmeccanica, che con Alenia si è aggiudicata la partita per produrre l'ala sinistra e assemblare alcuni velivoli destinati al mercato europeo. Un lavoro, quello sugli F-35, che Salvatore Cicu segue nella legislatura successiva da vice presidente della Commissione Difesa, nonostante a guidare l'esecutivo ci sia Romano Prodi, e al dicastero della Difesa sieda Arturo Parisi. Un lavoro che dal 2008, in quota centrodestra, porta avanti da sottosegretario, Guido Crosetto. Il quale riesce a strappare il parere della Commissione Difesa dichiarando che «per quanto riguarda il ritorno occupazionale, stime industriali quantificano nel numero di 10 mila i lavoratori che saranno direttamente impiegati nel programma, senza considerare l'indotto». Certo, spiegano i maligni, «gli gli F-35 si realizzano a Cameri. E dove si trova Camari?». In Piemonte. E oggi Crosetto, che è piemontese, è il candidato alla presidenza della regione.

A nulla, insomma, valgono nel corso degli anni le richieste di riduzione del progetto F-35 da parte del partito radicale, e della sinistra più radicale; il cacciabombardiere ha sempre goduto di un'altissima protezione nei palazzi del potere italiano. «Fin dal 7 luglio 2010 quando per la prima volta portammo la questione F35 all'attenzione del Parlamento con un emendamento alla mozione Franceschini ed altri a firma del deputato radicale Maurizio Turco (emendamento che fu respinto), e fino al termine della XVI legislatura, il centrosinistra, e poi il Pd, ha sempre contribuito a respingere ogni nostra richiesta di riduzione della spesa che si oppongono fermamente al progetto F35», spiega a pagina99 Luca Marco Comellini, collaboratore del parlamentare radicale Maurizio Turco. Soltanto nel febbraio del 2012 il ministro Di Paola, che è stato anche capo maggiore della Difesa dal 2004 al 2008 – annuncia che l'Italia avrebbe ridotto le ordinazioni da 131 a 90, come contribuito alla spending review. Un numero inferiore che comunque continuerà a garantire le due lobby italiane pro F35.

Una, rappresentata da alcuni parlamentari, come Salvatore Cicu, Guido Crosetto, e Mario Mauro, ministro della Difesa del governo Letta. Una lobby che investe il partito democratico, che ha sempre mostrato un atteggiamento ondivago sull'argomento, forte anche delle attenzioni del Colle sugli accordi atlantici. «All'interno del Pd difendono gli interessi della Nato, quindi degli F35, i componenti della commissione Difesa al Senato, su tutti Nicola Latorre, che oggi ricopre la carica di Presidente», riferiscono alcune fonti a pagina99. Un atteggiamento ondivago che si è manifestato quando sono arrivate in aula mozioni che avrebbero previsto il taglio dei cacciabomberdieri. Per ultima quella presentata nel giugno del 2013 da M5S e SeL. Lì, il Pd mostrò una spaccatura plateale. Con Pippo Civati che si sfogò perché «i governisti a oltranza del mio partito non li capisco. Ma ci voleva tanto a dire una parola chiara? Non si poteva proporre di sospendere il programma fino all'autunno, quando si concluderà l'indagine conoscitiva?». E con il capogruppo Pd in commissione Difesa Gianpiero Scanu, fino a pochi mese fa difensore degli F-35, a mediare: «Stiamo lavorando per trovare una soluzione ampiamente condivisa». La seconda, invece, è la lobby dei vertici delle Forze Armate. Per loro questo programma è una questione di status. Il fatto di avere sistemi d'arma è una questione di prestigio. «Gli F35 funzionano: l'Italia fa bene a comprarli», arrivano messaggi dal seguente contenuto ai parlamentari di ogni colore dalla segreteria generale degli armamenti. Del resto uno come l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, già ministro della Difesa e segretario generale della Difesa, fu ribattezzato dal direttore della Lockheed come il “formidabile sostenitore del Joint Strike Fighter in Italia”.

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