Da Craxi a Pisanu passando per Dini Il partito del raìs

Nessuna interferenza. È questa la parola d'ordine che ispira il governo italiano sulla rivoluzione in corso contro Muhammar Gheddafi. Una politica di attesa espressa da Franco Frattini, che preferisce sottolineare il valore di una «riconciliazione nazionale e costituzionale in Libia», ammonendo l'Occidente sulla velleità di «esportare e imporre un proprio modello di democrazia» e agitando lo spettro della «creazione di emirati fondamentalisti nelle coste nordafricane».
Gli interventi del capo del governo e del ministro degli Esteri sulla vicenda libica hanno suscitato indignazione. Ma essi rappresentano l'espressione forse più clamorosa di una realtà profondamente radicata nel nostro paese, cementata attorno a personalità e sensibilità politiche che coltivano da sempre un rapporto «privilegiato e speciale» con Gheddafi, e che sono sostanzialmente ostili a un radicale cambiamento di regime a Tripoli. Le ragioni di questi orientamenti vanno ben oltre gli interessi economici e finanziari che uniscono Italia e Libia, e attraversano partiti e schieramenti in modo sorprendente.
Fin dalla sua ascesa al potere nel 1969 il Colonnello, grazie alla connotazione socialista, nazionalista e panaraba impressa alla sua dittatura, in antitesi con una monarchia filo-occidentale corrotta e arretrata, suscitò, anche in una parte della sinistra italiana, un atteggiamento di «interesse», di «non avversione». Una propensione culturale che si tradusse ben presto in una «strategia di attenzione» da parte dei nostri governi, che indirizzarono la politica internazionale in un senso favorevole ai regimi arabi, e cominciarono a considerare strategici il ruolo e la stabilità del governo libico. Interpreti per eccellenza dell'equidistanza fra atlantismo e legami con il mondo islamico furono le varie correnti della Democrazia crstiana e il Psi di Bettino Craxi. Fu proprio il segretario socialista, allora presidente del Consiglio, ad «avvertire» il raìs dell'imminente bombardamento aereo su Tripoli e Bengasi deciso da Ronald Reagan nella primavera del 1986, salvandolo da morte sicura. E fu Giulio Andreotti, più volte capo della Farnesina, a promuovere la fuoriuscita della Libia dall'isolamento internazionale provocata dall'appoggio di Gheddafi al terrorismo. L'ex capo del governo, che non ha mai risparmiato dure critiche all'intervento americano, ha sempre rivendicato l'importanza della sua "realpolitik" verso il regime di Gheddafi, «effettivo detentore del potere nel suo paese e argine efficace contro l'offensiva islamista». Altro fautore dell'avvicinamento della Libia al mondo occidentale, da quando era ministro degli Esteri nell'esecutivo di Romano Prodi, fu Lamberto Dini, oggi presidente onorario della Fondazione Italia-Libia, che già nel '98 incoraggiò la normalizzazione delle relazioni con il Colonnello, in nome della lotta all'integralismo, alla proliferazione delle armi di distruzione di massa, e al controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo.
Un tema, quello del contenimento, da parte di Tripoli, delle partenze e degli sbarchi sulle coste italiane degli immigrati e rifugiati africani che attraversano il territorio libico, rivelatosi cruciale per il consolidamento del potere del raìs: e quella dello stop all'ingresso «indiscriminato di clandestini» è forse la ragione principale dell'allineamento della Lega Nord sulle posizioni di Berlusconi e Frattini. Promettendo e attuando il pugno di ferro contro le migliaia di persone che ogni giorno cercano di fuggire da guerre, fame e malattie, e utilizzando il loro dramma come arma di ricatto verso l'Unione europea, Gheddafi ha convinto il governo italiano a firmare nel 2003 un accordo che intensificava gli scambi commerciali fra i due Stati e garantiva l'impegno per porre fine all'embargo della Libia, a cui riconosceva un ruolo guida in tutta l'Africa. Sottoscritto da un altro ex democristiano, l'allora titolare degli interni Giuseppe Pisanu, quel testo ha rappresentato la premessa del trattato di amicizia e cooperazione stipulato nell'estate 2008 fra Roma e Tripoli. Un'intesa assai vasta, e che ha visto l'approvazione quasi unanime di Pdl e Pd. In occasione della ratifica parlamentare dell'accordo, Massimo D'Alema evidenziò «il carattere strategico della partnership con la Libia», e quando il raìs venne in visita in Italia nel 2009 osservò che «non vi sarebbe stato scandalo se Gheddafi avesse pronunciato il suo discorso al Senato». Per il parlamentare radicale Matteo Mecacci, quel consenso è stato determinante «nell'offrire al Colonnello un'alleanza privilegiata, che garantisce anche la cooperazione con le forze armate libiche, e rischia di macchiare le mani del governo italiano del sangue che sta scorrendo in Libia». Per questo, rimarca Mecacci, è indispensabile un'immediata «denuncia unilaterale del trattato da parte di Roma».
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