Da Berlinguer al Family day, fenomenologia della piazza delle prove di forza

San Giovanni è la prova di forza. Siamo tanti, siamo qui. La forza – nei decenni – dei comunisti, del sindacato, della lotta al terrorismo, del grande pacifismo, del girotondismo, del familydaismo, di Berlusconi. Andare a San Giovanni di norma non è missione gioiosa, allegria. Anzi, certe volte è stata simbolo di lutto, i grandi funerali di Togliatti e Berlinguer, e quelli, con la grande folla fuori dalla basilica, di Aldo Moro, le famose bandiere bianche e rosse insieme, dentro officiava Paolo VI, «noi, Aldo, lo rivedremo…». No, la piazze allegre a Roma son altre. Piazza Navona, la piazza libertaria dei radicali dei tempi d’oro e degli studenti, persino Santi Apostoli, buona per le manifestazioni più piccole, era diventata più gaia nell’era ulivista, ora è di nuovo sparita. Ma San Giovanni è un’altra cosa. È strano, perché non è propriamente una piazza, piuttosto un’esplanade – direbbero i francesi – non è un posto dove si va, è un non-luogo da cui si passa in macchina per dirigersi verso altre mete, non ci sono quei bar con tavolini all’aperto che fanno tanto Roma, nessun romano si sognerebbe di dare appuntamento lì. E dove poi? A San Giovanni, dove per l’esattezza? Anche perché San Giovanni – non è del tutto chiaro perché – evoca come una tristezza, un sentore di brutto tempo in arrivo, un sentirsi in ritardo e male vestiti. Forse è per via di quella grande Porta, oltre la quale comincia una città enorme, c’è l’Appia, come scriveva Pasolini «giro per l’Appia, per la Tuscolana…», la Roma-sud che inizia dove San Giovanni finisce, un’altra città; e persino dall’altra parte, dove ancora è Esquilino, la Roma del Pasticciaccio – Merulana e Santi Quattro – persino da lì, da dove arrivano i cortei, la città ha un altro colore, fra il grigio e il rosso sangue, che fa pensare alla durezza del vivere in questa giungla, diceva Fellini, che è la Capitale. La basilica troneggia, fortissima. Una volta il palco dei comizi lo mettevano sotto il sagrato, adesso di solito è di sbieco (anche quelli dei concertoni), spesso un po’ in mezzo al gigantesco piazzale, per far vedere che è comunque gremito. Quando la manifestazione è grossa davvero, la gente tracima: verso Santa Croce in Gerusalemme o al di là della Porta. Quando succede questo vuol dire che la folla è immensa. Come ai funerali di Berlinguer, mai più vista una roba simile. Era la piazza dei sindacati, dei grandi comizi. Il 2 dicembre del ’77 i metalmeccanici invasero la zona ma quelli del Movimento erano se non altrettanti, quasi, erano due manifestazioni in una, con Carniti che urlava le sue ragioni – e quelli fischiavano. Era la piazza della sinistra, del Pci, del Pds – ma negli ultimi anni Prodi è Veltroni scelsero la nobile Piazza del Popolo. Una decina di anni fa anche Nanni Moretti fece un bel discorso, «smettetela di fare i capricci», disse ai dirigenti della sinistra. Una prova di forza. Di quel simbolo di forza naturalmente il bulimico Berlusconi volle impadronirsi, e ci riuscì pure, e poi il Family day che a ripensarci oggi sembra lontano anni luce. E San Giovanni – l’antichissima basilica, il grande prato, i semafori, gli autobus che sbuffano e la gente che si affretta – se ne sta lì, eterno luogo e rumoroso, forse sa che oggi dovrà essere il teatro maestoso di un’altra prova di forza, e stavolta meno eroica.
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