Cucci, la relazione del Dap riapre il caso e parla di "responsabilità diffuse"

Dalla Rassegna stampa

Cucchi, Bianzino, Emeka. Solo i più famosi. Morti in carcere. Morti "di" carcere, denunciano i familiari. Lo Stato non ne ha avuto la necessaria cura, mentre erano sotto la sua custodia? Mentre la magistratura indaga, dubbi ne emergono non pochi. Tanto che dopo l`inchiesta sul caso Cucchi avviata al Senato, ieri anche la Camera ha aperto un filone di indagine sul diritto alla salute nelle carceri, partendo dalla «tragica e ancora inspiegata morte» del nigeriano Uzoma Eureka, nel penitenziario di Teramo. Intanto, in Aula il Pd chiede al ministro della Giustizia Angelino Alfano di fare chiarezza sugli ancora tanti punti oscuri intorno alla morte di Aldo Bianzino. E la deputata radicale Rita Bernardini pubblica on-line il testo della relazione del Dap sulla morte di Stefano Cucchi, che delinea responsabilità diffuse a tutti i livelli e fra diversi soggetti. «Lunedì, a distanza di molti giorni dalla richiesta da me avanzata -- dice Bernardini -- i membri della commissione Giustizia della Camera hanno avuto a disposizione il testo integrale dell`inchiesta amministrativa sul decesso di Stefano Cucchi, realizzata per conto del Dap, dipartimento amministrazione penitenziaria, dal responsabile della direzione generale dei detenuti e del trattamento Sebastiano Ardita. Penso che le dichiarazioni fatte all`epoca della conclusione delle indagini da parte del capo del Dap Franco Tonta, debbano essere oggi rivisitate alla luce della lettura integrale della inchiesta». Trecentocinquanta pagine, allegati inclusi, che sembrano non escludere la responsabilità degli agenti penitenziari, come le prime dichiarazioni di Ionta lasciavano intendere. Ma che invece evidenziano la presenza di responsabilità diffuse che spetterà alla magistratura precisare. In un quadro che rivela una «incredibile, continuativa mancata risposta alla effettiva tutela dei diritti» di Stefano Cucchi. A due mesi esatti dalla morte del giovane romano, il 22 ottobre, le indagini proseguono. Ieri la procura di Roma ha aperto un fascicolo processuale sul caso di Rolando Degli Angioli, il medico di Regina Coeli che il 16 ottobre visitò Stefano e che ha segnalato al presidente della commissione sul Servizio sanitario nazionale Ignazio Marino, di aver subito pressioni per autosospendersi. Nell’inchiesta sulla morte di Stefano sono intanto indagati sei medici del Pertini e tre agenti di polizia penitenziaria. La verifica interna all`amministrazione sanitaria, condotta dal Risk Management dell`Asl Roma b, ha nella sostanza "assolto" i medici, che sono stati reintegrati nel reparto penitenziario del Pertini, dal quale in un primo momento erano stati trasferiti. Eppure gli ispettori del Dap, che hanno trasmesso le carte ai magistrati, evidenziano invece una «insufficiente collaborazione tra responsabili sanitari e penitenziari». Ma soprattutto, «l`errata concezione del reparto ospedaliero non come luogo prevalentemente di cura, ma esclusivamente come "carcere"». Che dentro il Pertini vada collocata una parte importante delle responsabilità nella morte di Stefano, lo sostengono dall`inizio i familiari del ragazzo. E non solo perché, come sostiene l`associazione Nessuno Tocchi Caino, quando muore un detenuto in un carcere italiano, «non si può mai parlare di morte naturale». Ma anche perché diverse criticità sono emerse in questi mesi. Una la evidenzia la deputata del Pdl Melania De Nichilo Rizzoli: «Risulta che Stefano è morto nella notte e nessuno se n`è accorto. E come se questi pazienti per il fatto di essere detenuti ricevessero un`attenzione minore». E il pensiero va anche a Uzoma Eureka, il testimone del presunto pestaggio nel carcere di Teramo che è morto venerdì, per quello che sembra essere stato un tumore maligno al cervello. Sulla vicenda ieri la commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari ha aperto un`indagine, di cui si è fatta promotrice la stessa Rizzoli, per accertare se ci siano state carenze nell`assistenza sanitaria. «Ho lavorato - dice la deputata -- per dieci anni in un reparto di oncologia. E dico che se c`è una malattia che non provoca morte improvvisa è il cancro. Se si è trattato davvero di un tumore celebrale, da mesi deve aver dato segni. E allora: perché nessuno se n`è accorto? Perché hanno lasciato il detenuto nella sua cella?». De Nichilo annuncia che chiederà al ministro Alfano, cui Pd e radicali chiedono con insistenza risposte, di inserire la questione delle cure per i carcerati nella riforma del sistema penitenziario. «Perché - sottolinea - non ci può essere morte "naturale" in carcere a 30 anni: non ci possono essere suicidi, né "cadute dalle scale", né tumori improvvisi. E gli episodi emersi negli ultimi tempi non sono una coincidenza».

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