Cucchi, il padre accusa: "crollò di cinque chili"

Dalla Rassegna stampa

Né ferite, né tumefazioni. Poco prima di essere portato in Tribunale, Stefano Cucchi, il detenuto arrestato per droga e morto dopo un misterioso ricovero al “Pertini”, non aveva segni apparenti di percosse. L’uomo, attorno alle sei del mattino del 16 ottobre, a poche dall’arresto da parte dei carabinieri, fu visitato da un medico delle ambulanze del “118” in una caserma dell’Arma. Il dottore, chiamato dai militari perché la vittima diceva di sentirsi male, non notò anomalie. Il paziente stando al referto aveva «tremori» e «riferiva di precedenti neurologici e di una forma di epilessia». Cucchi, 45 chili, tossicodi pendente, non chiese il ricovero. Un’ora e mezzo dopo fu portato in una camera di sicurezza a piazzale Clodio. Fu processato per direttissima e comparve davanti a un giudice assistito dall’avvocato d’ufficio. Ma anche qui né il legale, né il magistrato, né i cancellieri segnalarono stranezze.

Il mistero tuttavia resta. Perché un fatto purtroppo è certo: Cucchi è morto. La Procura, sollecitata dalla famiglia, ha aperto un’inchiesta sul decesso. Il presunto spacciatore, di Tor Pignattara, figlio di un geometra, dopo l’udienza fu avviato al carcere di Regina Coeli perché il giudice tramutò il fermo in arresto. Era la tarda mattinata di sabato 17. Poco dopo, l’imputato era in cella. Ma la sera, all’improvviso, fu ricoverato all’ospedale “Sandro Pertini” a Pietralata, dove è morto all’alba di giovedì scorso, il 22 ottobre, senza che i genitori potessero rivederlo.
Giovanni Cucchi, padre della vittima, ripete di aver visto «tumefazioni sul viso del figlio» durante l’udienza in Tribunale. «Era gonfio oltre misura e aveva segni neri sotto gli occhi conferma Cosa sia accaduto non lo so. Ma tutt’ora nessuno ci spiega di che cosa sia morto. Non conosciamo i risultati dell’autopsia. A Regina Coeli ci hanno detto solo che Stefano ha rifiutato il cibo e le flebo e che poi - cito testualmente - “si è spento”. Non chiediamo altro che chiarezza e giustizia. Ci indicano quello che è successo. Quando l’ho visto, ormai cadavere, era in condizioni spaventose. Al momento della morte pesava trentasette chili. Cinque chili persi in quattro giorni: qualcuno ha sottovalutato la situazione? Bisogna capire».

Il legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, è lo stesso che seguì la vicenda di Federico Aldovrandi, il giovane morto a Ferrara nel 2005 dopo una colluttazione con alcuni poliziotti che lo stavano arrestando. La deputata radicale Maria Antonietta Coscioni ha presentato sul giallo un’interrogazione ai ministri della Giustizia, del Lavoro e della Sanità. Il garante dei detenuti per il Lazio ha annunciato un esposto sulla vicenda. Rita Bernardini, altra esponente radicale, «parla di detenuto morto in circostanze poco chiare». «Mio figlio aveva i suoi problemi e non lo nego aggiunge il papà ma è entrato vivo e non è tornato a casa. Sembra che poco prima di morire nel reparto carcerario dell’ospedale abbia anche chiesto una Bibbia e che gli sia stata negata. Sono cose che vanno al di là del dolore. Come la storia delle pastiglie di ecstasy. Erano pasticche di Rivotril, un farmaco salvavita contro l’epilessia, ».
 

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