Cristo e botte. Ecco il mantra degli ultras di Belgrado

Dalla Rassegna stampa

Kosavo je Srbija. Il Kosovo è serbo. È il grido degli hooligan serbi durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia ribelle, indipendente da due anni, non si rimarginerà mai. Martedì sera, a Genova, bruciavano l'odiata bandiera rossa con l'aquila nera degli albanesi. Gli ultras serbi sono giovani, spesso minorenni, studenti e disoccupati, e passano facilmente dalle curve alle manifestazioni di piazza. Acerrimi nemici negli stadi, si alleano per protestare contro il governo che vuole portarli in Europa. Gli ultranazionalisti all'opposizione cavalcano la tigre.
Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccarono l'ambasciata americana a Belgrado. Grazie a un cappellino di lana con la scritta "Srbija", chi scrive si mescolò fra i facinorosi. Molti portavano orgogliosi la bustina dei cetnici, i partigiani monarchici, che durante la Seconda guerra mondiale combattevano contro i nazisti e i comunisti di rito. Alla fine, dal balcone al primo piano dell'ambasciata presa d'assalto sventolava la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Lo stesso simbolo cetnico stampato sulla maglietta di Ivan il terribile, al secolo Ivan Bogdanovic, 29 anni, il disoccupato serbo che con il volto mascherato e le braccia coperte da tatuaggi, comprese delle croci ortodosse, che ha scatenato l'inferno a Genova. Gli ultras più famosi sono i Delje, i "coraggiosi" della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i "becchini" del Partizan. Negli ultimi tempi è saltato fuori il nocciolo duro degli Ultras Boys, che si sono distinti a Genova, e la Forza Unita della terza squadra di Belgrado.
La Stella Rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti arrestati per collusione con la mafia balcanica. Ai tempi di Tito era la squadra di riferimento dei poliziotti, e il Partizan lo era dell'esercito. Zeljko Raznatovic, il famigerato Arkan, l'immortale, è diventato la leggenda nera degli ultras serbi. Una delle scintille della sanguinosa disgregazione yugoslava scoppiò nel 1990 con la colossale zuffa alla partita fra la Dinamo di Zagabria di Zvonimir Boban e la Stella Rossa, Arkan cominciò ad arruolare i tifosi più violenti trasformandoli nelle Tigri che in Croazia, Bosnia e Kosovo non facevano prigionieri. L'immortale è stato eliminato da una sventagliata di mitra nel 2000, in un grande albergo di Belgrado. Dopo la sua morte, la tifoseria serba è stata manipolata dagli ultranazionalisti. In alcune squadre del campionato, i manager sono vicini agli oppositori del Partito radicale di Tomislav Nikolic.
Il suo predecessore era Vojislav Seselj, dietro le sbarre all'Afa con l'accusa di crimini di guerra. Fra gli ultras non mancano i giovani estremisti del gruppo di estrema destra Obraz (Onore), che difende i criminali di guerra serbi, come l'ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa, con la tacita benedizione dell'ala dura dei pope ortodossi, hanno preso d'assalto il gay pride a Belgrado ferendo decine di persone. Una foto diffusa dalle agenzie mostra un padre ortodosso che benedice le squadracce prima dei raid. Non a caso, gli slogan preferiti dagli hooligan attaccano il presidente serbo Boris Tadic. Un convinto europeista, che ha stretto un'alleanza di ferro con l'Italia. Roma punta a far entrare la Serbia nell'Unione europea nel 2014, un secolo dopo l'attentato di Sarajevo che segnò l'inizio della Prima guerra mondiale. Gli ultranazionalisti, che guardano ancora a Mosca, ostacolano il processo di integrazione nell'Ue. Il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, in questi giorni a Belgrado, non ha dubbi: "Le violenze di Genova sono un atto premeditato per danneggiare l'ingresso della Serbia in Europa".

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