La crisi ha tagliato i redditi agli italiani

Non più cicale, ma nemmeno formiche. Semplicemente più poveri. E’ questa la fotografia dell’Italia del 2009, anno di fortissima crisi economica, consegnata ieri dall’Istat. Il dato principale riguarda il reddito delle famiglie del nostro paese: dall’ultimo trimestre del 2008 all’ultimo del 2009, cioè nel corso di dodici mesi, i guadagni sono scesi in media del 2,8 per cento. Significa in pratica che tra stipendi, pensioni, interessi sui titoli di Stato e partecipazioni azionarie, le entrate si sono decurtate. Si tratta della contrazione più ampia a partire dagli Anni Novanta.
Di conseguenza il potere d’acquisto delle famiglie, in termini reali, è sceso di 2,6 punti percentuali rispetto ad un anno prima. Piangono anche i consumi che durante lo stesso periodo hanno subito una decurtazione dell’1,9 per cento. Ne risente naturalmente anche il risparmio, una delle caratteristiche che ha sempre segnato positivamente l’Italia: la propensione a risparmiare è scesa al 14 per cento del reddito, con un taglio rispetto a dodici mesi prima di 0,7 punti percentuali. Basti pensare che nell’ultimo
decennio ha sempre oscillato tra il 15 e il 17 per cento. Non è escluso che siano proprio le famiglie con redditi medio-alti a rinunciare al tradizionale risparmio (i redditi bassi non risparmiano perché devono far fronte alla sussistenza) per far fronte al calo generalizzato delle entrate. Il 2009 è stato un anno nero anche per le società non finanziarie, che hanno visto la quota di profitto ridursi in un annodi 1,8 punti percentuali (+0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente) al 40,3%, toccando il livello più basso dagli Anni Novanta.
In picchiata anche il tasso di investimento, pari al 22,2% (-2,6 punti percentuali in un anno e 0,4 punti percentuali sul trimestre), frutto di una flessione tendenziale ben più marcata (15,3%) degli investimenti fissi lordi in valori correnti rispetto a quella del valore aggiunto (5,4%). Il quadro dipinto dall’Istat ha suscitato reazioni preoccupate tra le forze politiche, sindacali e sociali. I dati, ha affermato Guglielmo Epifani, sono la dimostrazione che «non siamo fuori dalla crisi»: per il leader della Cgil è necessario diminuire le tasse sul lavoro. Per la Cisl è necessario «rilanciare la politica dei redditi» mentre per la Uil si sofferma la necessità di un taglio delle tasse.
Le cifre dell’Istat sono «la gravissima dimostrazione del fatto che la situazione in cui versa il paese è ben diversa da quella continuamente invocata dal partito degli ottimisti’», hanno commentato Adusbef e Federconsumatori, tornando a chiedere misure a sostegno della domanda. Anche per il Codacons i dati «confermano per la millesima volta che il governo non ha saputo e voluto difendere il potere d’acquisto delle famiglie».
Secondo Confesercenti, l’affanno con cui le famiglie convivono con la crisi è «preoccupante», e serve «una terapia d’urgenza che comprenda meno tasse e, a copertura, un taglio coraggioso delle spese e degli sprechi». Per il responsabile dell’economia della segreteria del Pd, Stefano Fassina è necessario «spezzare il circolo vizioso». «La forte contrazione del potere d’acquisto delle famiglie - spiega Fassina - è un risultato inevitabile data l’impennata della disoccupazione, l’esplosione della cassa integrazione e la chiusura di tante imprese».
Di conseguenza il potere d’acquisto delle famiglie, in termini reali, è sceso di 2,6 punti percentuali rispetto ad un anno prima. Piangono anche i consumi che durante lo stesso periodo hanno subito una decurtazione dell’1,9 per cento. Ne risente naturalmente anche il risparmio, una delle caratteristiche che ha sempre segnato positivamente l’Italia: la propensione a risparmiare è scesa al 14 per cento del reddito, con un taglio rispetto a dodici mesi prima di 0,7 punti percentuali. Basti pensare che nell’ultimo
decennio ha sempre oscillato tra il 15 e il 17 per cento. Non è escluso che siano proprio le famiglie con redditi medio-alti a rinunciare al tradizionale risparmio (i redditi bassi non risparmiano perché devono far fronte alla sussistenza) per far fronte al calo generalizzato delle entrate. Il 2009 è stato un anno nero anche per le società non finanziarie, che hanno visto la quota di profitto ridursi in un annodi 1,8 punti percentuali (+0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente) al 40,3%, toccando il livello più basso dagli Anni Novanta.
In picchiata anche il tasso di investimento, pari al 22,2% (-2,6 punti percentuali in un anno e 0,4 punti percentuali sul trimestre), frutto di una flessione tendenziale ben più marcata (15,3%) degli investimenti fissi lordi in valori correnti rispetto a quella del valore aggiunto (5,4%). Il quadro dipinto dall’Istat ha suscitato reazioni preoccupate tra le forze politiche, sindacali e sociali. I dati, ha affermato Guglielmo Epifani, sono la dimostrazione che «non siamo fuori dalla crisi»: per il leader della Cgil è necessario diminuire le tasse sul lavoro. Per la Cisl è necessario «rilanciare la politica dei redditi» mentre per la Uil si sofferma la necessità di un taglio delle tasse.
Le cifre dell’Istat sono «la gravissima dimostrazione del fatto che la situazione in cui versa il paese è ben diversa da quella continuamente invocata dal partito degli ottimisti’», hanno commentato Adusbef e Federconsumatori, tornando a chiedere misure a sostegno della domanda. Anche per il Codacons i dati «confermano per la millesima volta che il governo non ha saputo e voluto difendere il potere d’acquisto delle famiglie».
Secondo Confesercenti, l’affanno con cui le famiglie convivono con la crisi è «preoccupante», e serve «una terapia d’urgenza che comprenda meno tasse e, a copertura, un taglio coraggioso delle spese e degli sprechi». Per il responsabile dell’economia della segreteria del Pd, Stefano Fassina è necessario «spezzare il circolo vizioso». «La forte contrazione del potere d’acquisto delle famiglie - spiega Fassina - è un risultato inevitabile data l’impennata della disoccupazione, l’esplosione della cassa integrazione e la chiusura di tante imprese».
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