Crescita all'italiana

Un anno dopo la crisi finanziaria, la battaglia tra debito e crescita è al centro dell’economia mondiale, con ovvi riflessi anche nel dibattito di politica economica in Italia. Nei prossimi mesi, le prospettive economiche mondiali dipenderanno in larga parte dalle scelte governative.
Le più recenti previsioni di crescita per il 2010 del 9 per cento circa in Cina, del 6 per cento e più in India e del 3 per cento circa negli Stati Uniti fanno ben sperare.
Suggeriscono come, in diverse parti del mondo, la crescita potrebbe avere la meglio sul debito. Rallegrandoci per queste previsioni, non dobbiamo però dimenticare che negli Stati Uniti, in Cina e in India il ritorno alla crescita è in larga parte alimentato da notevoli stimoli di politica economica messi in atto durante la fase più acuta della crisi. Inoltre, in tutti e tre i Paesi ricordati, gli aumenti di spesa pubblica e i tagli di imposta sono stati finanziati da imponenti aumenti di debito pubblico. Nel 2009, il disavanzo pubblico negli Stati raggiungerà la cifra monstre del 13 per cento del Pil e, come conseguenza, il debito pubblico federale supererà presto il Pil. Ma come ci insegna la storia economica dei grandi «rientri» dal debito pubblico, l’unico modo credibile per ripagare imponenti espansioni fiscali rimane quello della crescita. In quest’ottica, le robuste previsioni di Cina, India e Stati Uniti fanno sperare che, almeno da quelle parti del mondo, la crescita possa spuntarla sul debito.
Negli stessi giorni in cui si elaboravano queste incoraggianti previsioni, una crisi di debito negli Emirati Arabi ci ha ricordato quanto fragile sia in realtà la situazione finanziaria mondiale. La richiesta di moratoria unilaterale dei 59 miliardi di debito emessi da Dubai World, un fondo sovrano degli emiri che pareva famoso per la sua solidità, ha scatenato il panico in tutti i mercati finanziari mondiali. Le banche occidentali, a parte forse quelle inglesi, paiono in realtà poco esposte verso il debitore degli emiri e i motivi di panico non sembrano totalmente giustificati. Tuttavia, le poche e opache informazioni finanziarie disponibili su queste istituzioni continuano a deprimere i listini di Borsa del Medio Oriente. La crisi di Dubai dovrebbe almeno servire per ricordare al mondo e alle autorità di politica economica che la battaglia sul debito potrà essere vinta soltanto se si metterà mano ad alcune regole di funzionamento dei mercati finanziari. Quando correvano i tempi peggiori della crisi, si è parlato per mesi e mesi di introdurre limiti più stringenti alla possibilità di indebitamento di varie istituzioni finanziarie. Nulla è stato ancora fatto. Speriamo che la tempesta degli emiri riporti davvero queste riforme all’ordine del giorno delle politiche economiche dei principali Paesi occidentali.
A ben guardare, la difficile battaglia tra crescita e debito si sta giocando anche in casa nostra. Le previsioni di un modesto ritorno alla crescita per il 2010 sono certamente una buona notizia, ma non possiamo dimenticare che con una crescita dello 0,5 per cento annuo il Paese riuscirà a tornare al livello di reddito pre-crisi - quello che avevamo nel 2007 - soltanto tra più di dieci anni. Rispetto alla maggior parte degli altri Paesi, l’Italia negli ultimi due anni ha scelto di non approvare significativi stimoli di politica economica. La scelta, in parte obbligata, è più che altro legata all’imponenza del nostro debito pubblico che, non dimentichiamolo, con la crisi è tornato ai livelli più elevati di sempre in rapporto al prodotto interno lordo.
La Finanziaria in discussione in questi giorni alla Camera non cambierà la linea di politica economica degli ultimi anni, nonostante vari ministri abbiano cercato di dare una scossa all’economia in chiave di «sviluppo», una parola che nel nostro gergo di politica economica significa quasi sempre maggiore spesa e quasi mai tagli di tasse. Proprio per questo motivo, tendo a diffidare dalle politiche di «sviluppo» all’italiana. Sono politiche che, da almeno vent’anni, finiscono per aumentare ulteriormente la spesa pubblica, che tra l’altro ha ormai ampiamente superato il 50 per cento del Pil, senza alcun effetto sulla nostra crescita potenziale. Tuttavia non credo che l’Italia possa accontentarsi di aspettare che la tempesta passi e che la crescita del resto del mondo ci tiri, in qualche modo, fuori dalla patologia della crescita zero virgola. Alla lunga, nel nostro Paese la battaglia tra crescita e debito si potrà vincere solo attraverso un efficace programma di riforme strutturali che dovranno inevitabilmente diminuire la spesa e cambiarne la composizione, oggi troppo sbilanciata verso le pensioni e altre spese improduttive. Anche in Italia, affinché la crescita possa vincere la battaglia sul debito, si dovrà a un certo punto combattere.
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