Crepe tra i Democratici: no a priori sbagliati

Dalla Rassegna stampa

La Santa Alleanza, vagheggiata ancora fino all'altro giorno dai vertici del Pd, si infrange prima di nascere sullo scoglio della giustizia. Casini e Rutelli sono critici ma possibilisti. Bersani, D'Alema, Bindi, Franceschini e Finocchiaro sono per un «no» senza se e senza ma.
Tanta intransigenza blocca il dibattito interno, frenando quanti la pensano diversamente. E ce ne sono. Quando l'altro giorno il segretario del gruppo della Camera, Roberto Giachetti, ha fatto il kamikaze, in molti sono andati a stringergli la mano: «Non ci possiamo appiattire sulla linea Spataro. La magistratura non può decidere per noi e delegittimare così il Parlamento: andiamo a vedere le carte di Berlusconi, solo così possiamo scoprire se il suo è un bluff». A Giachetti, in Transatlantico, hanno dato ragione in molti: il vice capogruppo Alessandro Maran e una pattuglia di parlamentari gli ha fatto i complimenti, mentre l'ex ppi Giuseppina Servodio ha scritto una lettera a tutti i parlamentari per appoggiare la sua linea.
Giachetti ora dice: «Non sono tutti "matti" come me, per questo parlano in pochi. Del resto, quando il segretario e i capigruppo intervengono con quelle parole, il dibattito viene stoppato per forza». Chi non ha problemi a dire quello che pensa è Follini: «Il Pd non si deve arroccare: scegliere il no come bandiera è un regalo che Berlusconi non si merita».
Ma anche chi non osa o chi non la pensa come Giachetti e Follini avrebbe voluto dal Pd un altro atteggiamento. Paolo Gentiloni, per esempio, è contrario a questa riforma, però, ritiene «che non si debba dire di no a priori, ma si debba criticare solo dopo». Non troppo diversa la posizione di Beppe Fioroni: «Sicuramente una forza politica che si vuole porre come un'alternativa di governo non va avanti a "no" pregiudiziali. La riforma della giustizia è necessaria e importante, il problema è che Berlusconi mira sempre a randellare i magistrati e a evitare i suoi processi. Ciò detto, il Pd presto dovrà riflettere su un tema: se l'Europa ci chiederà una manovra pesante per salvare il Paese, che cosa farà il partito? Dirà che sono affari di questo governo in agonia, lasciando l'Italia allo sbando, o si assumerà le sue responsabilità?».
È l'interrogativo che si pongono soprattutto i veltroniani, convinti che a furia di dire solo dei no e di non andare mai al confronto con delle contro-proposte, il Pd rischi la marginalità. La pensano così i senatori Tonini e Morando, che vorrebbero un partito in palla, che non gioca di rimessa. E un altro esponente del gruppo di palazzo Madama, Stefano Ceccanti, anche lui di rito veltroniano, osserva: «Noi dovremmo andare al confronto con una proposta che sia sulla falsariga di quella della Bicamerale». Ma persino chi abbraccia la linea dura e pura di Bersani ha dei dubbi. È il caso di Lanfranco Tenaglia, responsabile della Giustizia con Veltroni segretario. A Radio Radicale ne dice di cotte e di crude. Poi a microfoni spenti sospira: «Speriamo che Berlusconi non tolga il processo breve, perché sennò siamo nei guai». Sì, perché come spiega Giachetti: «A quel punto Casini, che ha chiesto al governo di archiviare le leggi ad personam per intavolare il dialogo sulla riforma, potrà cantare vittoria e noi, che abbiamo deciso di non fare politica, resteremo all'angolo».

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