La Costituzione non è un randello

Lo scontro molto aspro che si è aperto tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il centrodestra è uno scontro assolutamente politico. La Costituzione, che entra ed esce continuamente dalla diatriba, è usata per ragioni puramente strumentali. Dalla destra come dal Quirinale. Tanto è vero è che stavolta i costituzionalisti non si sono presentati alla battaglia, perché anche i costituzionalisti, ormai, sono quasi tutti arruolati in una delle due squadre, e dunque molto difficilmente possono svolgere il loro ruolo che, per definizione, dovrebbe essere superpartes.
Questo scontro tra Quirinale e destra ci aiuta a capire come la strumentalità nell'usare il concetto di Costituzione spinga indietro ogni possibilità di lotta politica seria e di progettazione per il futuro. Lo schema andrebbe rovesciato: la Costituzione dovrebbe diventare il vero oggetto del contendere e non un paravento per scontri politici che hanno altri obiettivi. Vediamo come sono andate le cose.
La destra ha accusato il presidente della Repubblica di aver violato la Costituzione dal momento che si è dimostrato propenso a valutare l'ipotesi, in caso di crisi del governo Berlusconi, di cercare in Parlamento un'altra maggioranza. La destra ha sostenuto che questo sarebbe un atto sovversivo, dal momento che le elezioni del 2008 hanno indicato Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio, e dunque privarlo di questo potere è illegale. Napolitano ha risposto sfidando la destra a chiedere il suo impeachment. Ha detto: «Se davvero ho violato la Costituzione chiedete che sia messo in stato di accusa». Hanno torto tutti e due, ed è facile dimostrarlo. E siccome gli uni e l'altro hanno robuste nozioni di diritto, è chiaro che sanno di essere in torto. Ma la cosa non li preoccupa per niente. Gli serve fare polemica sulla Costituzione e la fanno, disinteressandosi alla Costituzione.
Gli errori della destra
Perché hanno torto? La destra ha torto per due ragioni: Primo, perché Napolitano non ha ancora conferito nessun incarico per formare un governo tecnico, e il processo alle intenzioni è sempre infondato. Secondo, perché, anche se in futuro Napolitano nominasse un presidente incaricato (e poi un premier) diverso da Berlusconi, non violerebbe la Costituzione, dal momento che la Costituzione prevede che il Capo dello Stato conferisca l'incarico di formare in governo a chi sulla base delle sue consultazioni ritiene in grado di ottenere la maggioranza in Parlamento. La Costituzione non prevede l'elezione diretta del presidente del Consiglio, al contrario prevede che il Presidente del Consiglio sia nominato dal Presidente della Repubblica e ottenga la fiducia di entrambe le Camere. Perciò è chiaro che non può in nessun caso essere incostituzionale la decisione di non prendere in considerazione l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, che la Costituzione, appunto, esclude.
Gli errori di Napolitano
Napolitano ha torto, anche lui, per due ragioni. Una evidente, l'altra meno evidente ma molto ragionevole. Quella evidente è che non è vero, come lui afferma, che la violazione della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica comporti 1'impeachment. Non è così. L'impeachment è previsto in caso di "attentato alla Costituzione" che è una cosa molto diversa. Se io rubo, violo la legge, ma non "attento" alla legge. Se io cerco di far cancellare la legge che proibisce di rubare, allora "attento" alla legge. Casi di violazione della Costituzione da parte del governo e del capo dello Stato (che firma le leggi del governo) ce ne sono tantissimi e ufficialmente accertati. Per esempio, Napolitano ha violato la Costituzione quando ha firmato il lodo Alfano che l'Alta Corte ha decretato incostituzionale. E in questo caso la violazione è indiscutibile e accertata.
A mio giudizio è indiscutibile anche la violazione della Costituzione commessa dal predecessore di Napolitano, Azeglio Ciampi, che ha spedito i nostri soldati in guerra in Iraq e in Afghanistan, disobbedendo all'articolo 11, che esclude il diritto alla guerra se non difensiva. E certamente - e qui arriviamo al secondo errore di Napolitano - Ciampi ha violato la Costituzione firmando l'ultima legge elettorale (il cosiddetto Porcellum) la quale in realtà istituisce l'elezione diretta del premier vietata, dalla Costituzione. È una legge evidentemente incostituzionale. Ecco, il secondo errore di Napolitano (meno evidente e più discutibile del primo) sta nel non voler affrontare questo problema chiarissimo: il contrasto aperto tra legge elettorale e Costituzione.
La legge elettorale non solo prevede che le coalizioni indichino il nome del loro leader (e dunque, è chiaro, del candidato premier) inducendo in questo modo gli elettori a ritenere che stanno votando per la nomina di un premier; ma affida alla coalizione vincente un premio di maggioranza, e dunque designa una maggioranza che non dovrebbe essere possibile cambiare in corso d'opera. Per questa ragione formare una maggioranza diversa da quella che ha vinto le elezioni, non è in contrasto con la Costituzione ma lo è con la legge elettorale e con l'idea che gli elettori si sono fatti del meccanismo elettorale.
Se c'è un premio di maggioranza è chiaro che solo la maggioranza premiata è autorizzata a governare. È un concetto piuttosto semplice. Quando si sostiene che il ribaltone del '95 fu illegittimo si dice una fesseria. Nel '95 si votava con una legge elettorale molto diversa da quella attuale. Era una legge che non solo non prevedeva nessun premio di maggioranza, ma che prevedeva l'elezione popolare di ogni singolo parlamentare, col maggioritario, nel collegio uninominale. Quindi evidentemente assegnava piena autonomia a ciascun parlamentare. Ogni parlamentare era individualmente e pienamente titolare del proprio mandato popolare. Oggi, capite bene che la cosa è assolutamente diversa. Oggi un ribaltone sarebbe illegittimo: non incostituzionale ma illegittimo. Perché Napolitano non prende atto del contrasto evidentissimo tra legge e Costituzione?
Gronchi vs Fanfani
Lo scontro tra Napolitano e la maggioranza berlusconiana fa parte della lunga storia di frizioni tra il Quirinale e i partiti di governo. La storia della politica della Repubblica è stata segnata da queste battaglie e spesso queste battaglie hanno prodotto dei significativi mutamenti politici. Il primo scontro che si ricordi risale giusto a mezzo secolo fa, e fu tra Giovanni Gronchi e il suo partito, cioè la Dc, e in particolare Amintore Fanfani. Gronchi era un uomo della sinistra democristiana amico di Dossetti ma soprattutto amico del potentissimo Mattei (il fondatore dell'Eni). Era stato eletto al Quirinale nel 1955 per volontà soprattutto di Nenni e Togliatti e contro la Dc (e Fanfani). Nel 1960, a due anni dalla scadenza del mandato, si mise in testa di prendere in mano la politica italiana che era a un bivio tra svolta a sinistra e svolta a destra. E lui, che era un uomo di sinistra, diede un colpo verso destra: nominò premier il suo amico Tambroni, gli fornì una lista di ministri e gli disse di andarsi a cercare i voti in Parlamento. Una specie di governo tecnico. Tambroni in Parlamento trovò i voti del Msi e in cambio concesse al Msi di fare il suo congresso a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. Ci fu il finimondo, la rivolta della sinistra, dei giovani e degli operai. Scontri di piazza sanguinosissimi, le città a ferro e fuoco. Dieci morti per le strade uccisi dalla polizia. Il governo cadde, Fanfani vinse, iniziò la corsa verso il centrosinistra. Gronchi due anni dopo uscì di scena e non trionfalmente.
Segni vs Moro
Appena due ani dopo, e cioè nel '64, ci fu il più drammatico degli scontri tra Quirinale e maggioranza. Il successore di Gronchi, Antonio Segni, fu sospettato di non aver ostacolato il piano "Solo", cioè un progetto di golpe preparalo da una parte dei servizi segreti, i quali avevano intercettato e spiato (ahi le intercettazioni!!!) la metà del mondo politico e finanziario italiano e si preparavano a ricattarlo, e poi avevano messo a punto un piano per l'arresto di migliaia di dirigenti politici di sinistra e per il rovesciamento del governo di centrosinistra in carica.
Perché? Perché il centrosinistra - giunto al potere da appena un anno stava preparando radicali riforme politiche (la più temuta era la riforma del regime dei suoli, cioè dell'urbanistica). E una parte consistente dell'establishment politico-finanziario era contrario a queste riforme. Contrario e impaurito. In quell'estate del '64, scrissero i giornali, ci fu un "tintinnare di manette". Cioè si cercò di piegare la spinta riformista dell'asse Moro-Nenni con la minaccia del colpo di Stato. Si dice che Segni fu affrontato al Quirinale, in una serata di agosto del '64, da Moro e Saragat, i quali lo accusarono di slealtà e di tradimento e gli prospettarono l'impeachment; e si dice che fu durante o subito dopo quel colloquio che Segni subì il colpo apoplettico che lo mise fuorigioco e lo costrinse alle dimissioni. Il golpe sfumò. Ma fino a un certo punto, perché prima ancora del malore di Segni si era comunque arrivati alla crisi del primo governo di centrosinistra e al varo di un nuovo centrosinistra che aveva sbarcato la sinistra socialista. Bisogna anche dire che probabilmente a gettare acqua sul fuoco contribuì un evento imprevisto: la morte di Palmiro Togliatti (20 agosto). La destra economica e politica aveva molta paura che un uomo abile e spregiudicato come Togliatti finisse per influenzare fortemente il governo di centrosinistra. La sua scomparsa funzionò da tranquillante.
Cossiga il picconatore
Terzo capitolo, le picconate di Cossiga. Delle quali sapete tutto perché se ne è scritto molto in questi giorni sui giornali. Cossiga arrivò a un passo dall'impeachment e alla fine si dimise dal suo incarico con qualche settimana di anticipo sulla scadenza. Anche in questo caso, come nei due precedenti, lo scontro tra Quirinale e Palazzo spinse a una svolta politica. La,sconfitta di Gronchi produsse il centrosinistra, il mancato golpe del '64, come abbiamo detto, portò invece ad un annacquamento del centrosinistra, le picconate di Cossiga favorirono la fine della prima Repubblica e furono seguite dall'ondata di Tangentopoli. La Dc arrivò di fronte all'inchiesta di Tangentopoli molto indebolita dagli ultimi due anni di Presidenza di Cossiga. E per la prima volta sbandò e molto rapidamente si schiantò al suolo. La Dc negli anni precedenti aveva sopportato molto bene tanti altri scandali. Ultimi in ordine di tempo quello della Lokhced (tangenti per l'acquisto di aerei militari) che aveva coinvolto quasi tutti i suoi alti dirigenti (furono sospettati Moro, Leone, Rumor e messo in stato di accusa, il ministro Gui), quello dei petroli, e poi, clamoroso, lo scandalo P2 con le liste nascoste per settimane dal presidente del Consiglio Forlani. Nessuno di questi scandali aveva avuto seri effetti politici. Perché Tangentopoli portò al tracollo? Per varie ragioni, legate anche alla contingenza internazionale, ma sicuramente contò il fatto che la Dc fu colta di sorpresa, mentre il pentapartito boccheggiava e la sua credibilità politica era stata demolita da Cossiga.
Scalfaro vs Berlusconi
Infine il noto caso Scalfaro. Cioè il ribaltone del '94 del quale abbiamo già parlato. Berlusconi era al governo da pochi mesi e una complessa operazione politica condotta da Massimo D'Alema, Umberto Bossi e Rocco Buttiglione andò in porto grazie all'appoggio attivissimo del Presidente Scalfaro e provocò il disarcionamento di Berlusconi e la formazione di una maggioranza trasversale destrasinistra che governò per due anni e poi portò alle elezioni del '96 che furono vinte da Prodi.
Il caso Segni è un caso a parte. Gli altri casi assomigliano abbastanza alla situazione attuale. C'è un Presidente della Repubblica che entra in rotta di collisione con la maggioranza di governo e cerca di gestire questa contraddizione esagerando il proprio ruolo politico. Da destra (caso Gronchi e caso Cossiga) o da sinistra, (Caso Scalfaro e caso Napolitano). Se, dopo aver ragionato su questa breve storia aggiungiamo che Giovanni Leone fu sloggiato dal Quirinale senza ragione alcuna (l'unica ragione era la forte antipatia di una giornalista: Camilla Cederna) ad opera dal suo partito, ci accorgiamo che solo quattro volte, nella storia d'Italia, il mandato presidenziale si è concluso senza scosse e senza urto tra Presidenza, e mondo politico: nel '55, quando lasciò Luigi Einaudi, nel '71, quando lasciò Saragat, nell'85 quando lasciò Pertini e poi nel 2006 quando lasciò Ciampi.
Nel caso di Ciampi, per la verità, lo scontro col governo ci fu, ma non certo alimentato dal Presidente, bensì dal governo. Il quale pretendeva che Ciampi rinviasse lo scioglimento delle Camere - che avevano concluso i cinque anni di mandato - per permettere alle vecchie Camere (con maggioranza di centrodestra) di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica (che scadeva un mese dopo la scadenza delle Camere) dal momento che le previsioni dicevano che le elezioni avrebbero cambiato maggioranza. Ciampi tenne duro. Riformare la Costituzione è un delitto? E allora arriviamo al punto (tornando al ragionamento iniziale) : la discrepanza tra Costituzione formale e Costituzione materiale non è forse diventata un problema non più rinviabile? Ci sono moltissimi argomenti sui quali tra le due Costituzioni esiste uno scarto. Le leggi elettorali e l'architettura istituzionale, alcuni articoli (come l'articolo 3) sui diritti sociali, gli articoli sul lavoro, lo stesso articolo 1 (messo in discussione dal ministro Brunetta e poi anche dai radicali), l'articolo 11 sulla guerra, l'articolo sulla famiglia... Non ha senso negare le discrepanze. E neppure dividersi su chi dice che la Costituzione è perfetta e cambiarla sarebbe un atto fascista, e chi dice che la Costituzione e sovietica e non cambiarla sarebbe una professione di comunismo. È chiaro che non è così. La Costituzione non è né perfetta né sovietica. E aprire una discussione seria su come riformarla e innovarla sarebbe l'unico serio atto che metterebbe tutte le forze politiche, gli intellettuali, i pezzi più impegnati e pensanti della società civile, di fronte alla necessità di smetterla coi chiacchiericci, gli scandaletti e le trappolone, e di misurarsi con un grande progetto di riforma della nostra società. Cioè riporterebbe la battaglia politica ai nodi essenziali. Alle idee di fondo, al progetto. E permetterebbe alle formazioni politiche di sciogliersi e ricomporsi non sulla base di vecchie abitudini o di interessi piccoli di ceto politico, ma sulla base di grandi scelte e grandi idee. È l'unica via di uscita dalla crisi politica italiana.
© 2010 Gli Altri. Tutti i diritti riservati
SEGUICI
SU
FACEBOOK
SU