Così le terze linee guastano il lavoro dei (pochi) pontieri

Dalla Rassegna stampa

Gli altalenanti malumori interni al Pdl sono tornati a propendere verso l’esasperazione. Complici, dicono le colombe, una maldestra gestione dell’Aula di Montecitorio e la rissosità delle seconde e terze linee del partito. "Si tratta di una valutazione che riguarda tutti. Finiani e non", spiegano al Foglio ambienti vicini a Palazzo Chigi. Gli uomini impegnati nella mediazione tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini (sino a ieri Gianni Letta, Denis Verdiní e Andrea Ronchi) hanno visto periclitare i loro incerti successi per un incidente
alla Camera, dove la maggioranza è andata sotto (con baruffa) per le troppe assenze, e per la questione relativa alle dimissioni dei vicecapogruppo finiano Italo Bocchino. Nel giorno in cui Gianfranco Fini, intervistato a "Porta a Porta", completa la serie dì partecipazioni televisive volte a rassicurare (ma anche a precisare) sulla propria lealtà al governo; e nel giorno in cui Berlusconi esprime al proprio partner-oppositore solidarietà pubblica (accettata con distinguo) per un attacco del Giornale di Vittorio Feltri, è il partito a sfuggire dal controllo. Alla Camera si è sfiorata una rissa tra deputati berlusconiani e finiani, questi ultimi accusati - forse a torto, di aver boicottato il voto. Erano assenti 95 parlamentari dei Pdl di cui pochi riconducibili all’area di minoranza. Scene in contrasto con quanto accade in Senato dove il leader dei finiani, Andrea Augello, ha espresso pubblicamente apprezzamento per i capigruppo berlusconiani Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello.
Che succede? Il tentativo di rappacificare i due leader, alla Camera, va attorcigliandosi con il sospetto che dietro certe mosse delle terze linee ci possa essere il benestare dei due protagonisti della contesa.
D’altra parte sembra essere stato Berlusconi a esigere che oggi il gruppo parlamentare sfiduci il finiano Bocchino dimissionandoli dall’incarico di vicecapogruppo; mentre su Fini grava il sospetto che abbia avallato le mosse azzardate di Bocchino nei confronti di Fabrizio Cicchitto (la richiesta delle sue dimissioni). Non è un mistero che sia sempre stato interesse berlusconiano quello di isolare il caso Bocchino dalla contesa con Fini e che le resistenze del vicecapogruppo (con parziale copertura dell’ex leader di An) abbiano complicato la faccenda. Tutti ragionamenti che in Parlamento vengono fatti apertamente, concorrendo a legittimare anche qualche gesto scriteriato in Aula da parte dei peones. Ma i segnali sono contrastanti. Nulla di definitivo può essere detto. Persino la solidarietà sul caso Feltri, accettata a metà da Fini ("Berlusconi me la rivolge soltanto oggi"), è il segno dell’ambivalenza: nulla è irrecuperabile ma nulla è recuperato.
Sui rapporti tra i cofondatori grava ancora un’incognita della quale forse questa mattina, dopo la riunione del gruppo di Montecitorio, si potrà definire il profilo. Il triangolo con Bossi e il Quirinale Eppure dall’esterno si lavora a una trama di pace. Umberto Bossi ha mandato un messaggio chiarissimo ai propri alleati: "Alle elezioni anticipate non ci penso nemmeno. Quello che vogliamo è il federalismo. Anche Fini è sostanzialmente d’accordo ma deve tamponare le beghe con Berlusconi". Dichiarazioni precedute, martedì, da un incontro tra i vertici del partito padano e il presidente della Camera a Montecitorio. Un incontro nel quale l’ex leader di An ha ripetuto di non avere intenzione di ostacolare la riforma federalista: un ragionamento che Fini ha ripetuto ieri anche al governatore siciliano Raffaele Lombardo. Così intorno al Cav. sembra ricostituirsi quella cintura di protezione (e contenimento) che dall’inizio della legislatura si era manifestata nella triangolazione tra Bossi, Fini e il Quirinale.
D’altra parte è stato. Giorgio Napolitano a lavorare negli ultimi giorni per scongiurare, dopo il dissidio della direzione nazionale del Pdl, un deflagrante scontro istituzionale tra la presidenza della Camera e la presidenza del Consiglio. Ed è stato Bossi, la settimana scorsa sul quotidiano la Padania, e poi ieri su Radio radicale, a rendere chiara l’indisponibilità di tornare alle urne. Una volta ottenute garanzie da Fini sulla sua adesione, anche parzialmente critica, alla grande riforma nordista, il leader del Carroccio non vede più ragioni per le quali Berlusconi e Fini non debbano trovare il sistema di coesistere all’interno del Pdl. Pur continuando a non piacersi.

© 2010 Il Foglio. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK